Sachs, Galimberti e un lamento che diverte
Settimane fa mi sono imabattuto in una lettera con risposta della posta di Umberto Galimberti su D di Repubblica che dopo aver declinato a rispondere sul particolare di una relazione amorosa e aver citato l' Ars amandi psychoanalytica di Hans Sachs, allievo di Freud, si domanda attraverso di lui "che cos'è la vita a due? Una combinazione di forze per sopperire alla propria debolezza, un'opportunità per possedere una casa propria, una modalità socialmente accettata per allontanarsi dai propri genitori, una fuga dalla solitudine, un effetto indotto dalla fascinazione o dall'ammirazione, un sedativo contro l'eccesso passionale, un'anticamera della separazione, un espediente per sentirsi normali, una casa di piacere, una camera di tortura? Probabilmente tutte queste cose diversamente dosate a seconda dei casi. Ma se il rapporto si fa troppo problematico o soffoca nell'intreccio di troppe domande che lo assediano senza dargli respiro, allora conviene dire addio, senza conferire al congedo una drammaticità troppo solenne. Anche perchè frequenti sono le insoddisfazioni nelle cose d'amore, come scrive sempre Hanns Sachs, "un destino comune non diventa eccezionale per il solo fatto di esserne colpiti personalmente". Quando le relazioni non funzionano i segnali ci sono e si fanno sentire nella perdita della tranquillità interiore, che va ascoltata prima che la relazione distrugga il sistema nervoso e poi quella cosa che lei chiama amore".
Mi ha fatto pensare a una frase di De Lillo che campeggia qui a fianco random rispetto al lavoro. Insomma credo che lamentarsi in modo divertente sia quello che quantomeno dovremmo chiedere a chi si sente eccezionalmente male. Per qualsivoglia ragione.
|