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 Il letto di monastiraki... di Carvelli
 
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Avevo amato le donne con le quali ero vissuto. Tutte. E con passione. Anche loro mi avevano amato. Ma sicuramente con maggiore sincerità. Mi avevano dato un po' di tempo della loro vita. Il tempo è una cosa essenziale nella vita delle donne. Per loro, è reale. Per gli uomini, relativo. Mi avevano dato molto. E io, cosa avevo regalato? Tenerezza. Piacere. Felicità sul momento.

Jean-Claude Izzo
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Ognuno legga ALDO NOVE per sé
Di Carvelli (del 09/08/2004 @ 10:19:33, in diario, linkato 1056 volte)

LA PIÙ GRANDE BALENA MORTA DELLA LOMBARDIA

Gordiano Lupi, autore e editore indipendente, stronca l'ultimo libro di Aldo Nove

UN AMICO MI CONSIGLIA QUESTO LIBRO E IO METTO DA PARTE PRIMA CHE SIA NOTTE DI REINALDO ARENAS (GUANDA) E CASA D’ALTRI DI SILVIO D’ARZO (EINAUDI, MA STRUZZI MICA STILE LIBERO), DUE LIBRI VERI, DI QUELLI CHE TI RESTANO DENTRO PER UN BEL PO’ DI TEMPO E TI FANNO PENSARE.    Li metto da parte e leggo La più grande balena morta della Lombardia. Certo che la differenza salta agli occhi, se prima leggevo Topolino o Diabolik forse Aldo Nove la sua figura ce la faceva, ma mica ne sono tanto sicuro.    La storia che dà il titolo alla raccolta ci presenta un bambino che ogni giorno va allo zoo di Como per vedere la più grande balena morta della Lombardia, che però non è così morta visto che un bel giorno si desta e divora tutti i continenti.    Il bambino resta solo nell’infinito, ci sta un po’ a pensare (ma mica poi tanto) e alla fine esce fuori con la tutina della Chicco e contempla il nulla assoluto. Il racconto è solo esemplificativo.    Narrativa del non senso e mi sta pure bene, narrativa surreale e te la passo pure, ma almeno condiscimela con un po’ di tensione narrativa, con qualche trovata di stile, con appena appena un po’ di motivazione perché io editore te la debba pubblicare e io lettore te la debba stare a leggere. Invece niente. La storia dura lo spazio di due paginette e finisce come è cominciata, nel piattume più assoluto. E così sono tutti gli altri racconti, che chiamarli racconti mi viene male, è davvero parecchio dura.    I Ricchi e Poveri è la seconda storiella (ecco questa è la parola giusta) che ci presenta niente meno che il nasone del popolare gruppo canoro mentre aspira sul palco con il suo enorme naso i superstiti di una terribile esplosione. Un altro parla dell’Omino Bialetti che in quel di Viggù (patria dell’autore) uccide i bambini che restano soli nel bagno per nove minuti di seguito.    Un altro ancora di Toni Negri che pare un drago dei tempi moderni e uccide la gente con il fuoco che gli esce dagli occhi. Un altro parla di Enzo Tortora e io se fossi la figlia di Tortora lo querelerei ad Aldo Nove perché è davvero di cattivo gusto.    E anche dello stile si dovrebbe parlare. I racconti sembrano scritti da un bambino delle elementari che non ha capito un tubo dei congiuntivi e dei tempi verbali. Ma quello mi sta pure bene, va di moda così, i congiuntivi mica li usa più nessuno. Però che sia uniforme la scelta stilistica, che si scriva sempre uguale, se no capita che il lettore non capisce e il critico neanche. Aldo Nove non usa le congiunzioni eufoniche neppure quando servono (incontro di due a e di due e), lui ha dichiarato guerra totale agli “ad” e agli “ed”.    Non solo, a volte piazza senza motivo delle “a” congiunzione scritte con l’acca davanti che sembrano veri e propri errori di grammatica. Mi dovrebbe spiegare perché. Forse sta lanciando una nuova moda.    Mi fermo qui e vi dico solo che il racconto migliore è Ciascuno deve pensare a Cicciolina per sé, che almeno ha un po’ di verve e di tensione narrativa, pure se l’argomento non è che sia dei più profondi, il protagonista è la sborra e la prima sega che ci si fa da ragazzini.    Ecco, detto questo mi meraviglio parecchio quando leggo una recensione come quella di Roberto Carvelli su “Blue” (che è pure una bella rivista indipendente) che recita: “Aldo Nove è il più talentuoso scrittore della generazione cannibale, il libro è un assoluto capolavoro, perfetto per coerenza di pensiero, rimarrà in questa storia di anni distratti perché è nato già come un classico, pensato da una mente con capacità di astrazione e transfert temporali di enorme portata, io fossi in voi me lo comprerei senza perdere tempo”. Ora finché recensioni simili me le propina Aldo D’Orrico sul “Corriere Magazine” so che fa parte del gioco e me ne sto zitto, cosa vuoi che faccia.    Ma da Carvelli su “Blue” e pure da Ottonieri su “Carta” non me l’aspetterei questo totale asservimento al potere editoriale, mi sembrerebbe fuori luogo. Se poi lo pensano davvero che La più grande balena morta della Lombardia è un capolavoro allora la cosa è ancora più grave, magari mando ai critici qualche manoscritto di quelli che al Foglio di solito rifiutiamo, mi sa che sono capolavori pure quelli. Come si fa a definire un capolavoro questo libro di racconti che io da quando l’ho comprato mi diverto a leggerlo alla gente e mica lo dico chi l’ha scritto e chi l’ha pubblicato. No, dico che sono racconti che hanno inviato alla redazione del “Foglio Letterario” e che si deve decidere se pubblicarli oppure no. I redattori della rivista mi rispondono che la posso pure smettere di leggere storie senza senso, ché roba come quella mica si può pubblicare, ci si rimette la faccia. Quando dico che l’ha già pubblicata Einaudi ci restano male. Se questa roba è letteratura tutti possiamo scrivere e tutto è pubblicabile, cari miei. E allora ho deciso che la prossima volta che mi chiamano a presentare Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura invece di leggere qualche capitolo del mio libro, leggo La più grande balena morta della Lombardia e dopo recito pure le recensioni di Carvelli, Ottonieri e D’Orrico e sto a sentire quello che pensa la gente. Intanto però me ne torno a Reinaldo Arenas e a Silvio D’Arzo, ché di storielle da poco ne avrei lette anche troppe e mi ci vorrebbe un po’ di letteratura di quella vera, sono in astinenza.    All’orizzonte vedo come un incubo il nuovo libro di Tiziano Scarpa, Corpo s’intitola e pure quello lo pubblica Einaudi, D’Orrico sul Corriere ha già detto che è un capolavoro. Scarpa è un autore molto prolifico e io tempo fa mi sono letto un libro dove ci raccontava per filo e per segno tutte le sue scopate. Ve lo raccomando. Adesso invece nell’ultimo capolavoro si passa in rassegna i brufoli, poi ascolta cosa dice l’acqua nel bicchiere e infine si chiede cosa c’è scritto sul suo culo. Questo non lo leggo neppure se me lo regalano. Recensione di Gordiano Lupi

Trovo in rete questa recensione del libro di Aldo Nove. Chiamato in causa ribadisco l'assoluta economia del mio giudizio e anche la sua sincerità non servile e tra l'altro pagata di tasca mia. Detto ciò io lo continuo a consigliare con lo stesso entusiasmo sicuro del pari che il libro a qualcuno (diverso da me) possa non piacere (ma anche istintivamente e non alla luce di scelte editoriali da sempre discutibili nella stessa misura del gusto di lettura). Gordiano Lupi, che ha tra l'altro scritto anche lui un libro che non ho letto ma che la menzionata BLUE (per la quale curo la pagina delle segnalazioni editoriali) ha recensito per la penna di un altro recensore, dovrebbe saperlo anche nella scomoda veste di editor(e). PS 1 D'Orrico non si chiama Aldo. Ma neppure Giovanni e men che meno Giacomo. 2 La recensione è malcitata (la mia): "Che dire? le premesse sono quelle di sempre: Aldo Nove è il più talentuoso scrittore della generazione cannibale e taratà taratà taratà. Cose dette ridette che non fanno che innervosire quando scopri questo nuovo libro che è un assoluto capolavoro" ecc. 3 Vorrei scrivere altro (a proposito di pressioni editoriali e amicali, tenerezza e incoraggiamenti, marchette e passioni tutte brutte bestie quanto la sudditanza culturale per chi cura una rubrica di recensioni) ma è agosto e fa caldo. 4 sul successivo numero di BLUE ho recensito Tiziano Scarpa (appunto) il vecchio libro (quello delle scopate, per capirci) e mi sono espresso sull'uso della stroncatuura.

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