Acciaio (ben e mal temperato)
Ho letto in breve tempo Acciaio di Silvia Avallone. E questo va a suo onore. Infatti il libro è ben scritto e congegnato nelle scene. Contrariamente a quello che mi era arrivato - tutti parlano male di questo libro e mi riferisco, soprattutto, a gente del mestiere e metto qui una nota* - il libro non è per nulla male. Un buon esordio per la giovanissima età dell'autrice e a prescindere, per la capacità di padroneggiare una struttura così articolata, complessa. Quello che non funziona è a monte e a valle ed è editoriale. A monte c'è un'invariabile e pervicace debolezza della nostra editoria per le storie molto sentimentali, gravemente sentimentali e parlo del tempo recente. A valle la scarsa disponibilità (almeno qui) all'editing compiuto (vorrei dire anche compunto e non mi dite che hanno voluto mantenere degli sporchi, della freschezza giovanile di questo esordio...non attacca!...e non torna col resto!). C'è un problema di registri in questo libro: ad esempio una voce narrante (onnisciente e superiore) non ben distinta da quella delle protagoniste tredicenni. La struttura, come detto, funziona - anche se funziona è una parola che non uso a caso...c'è, vedi sopra, una caccia alla trovata allettante che squalifica certo nitore di base, nell'osservazione, nella calata in periferia e sottoproletariato [ma fanno il classico i sottoproletari?] e via così... - tranne che nel finale "Elba" un po' più debole a riprova che non si può scrivere una letteratura OGM e poi all'improvviso finire in "BIOLOGICO". Comunque nella somma non male.
*Nota "gente del mestiere". Dovete sapere cari lettori che "gente del mestiere" sono quelli che dichiarano successo o insuccesso dei libri. Quelli che sono i libri. Li scrivono, li pubblicano, li fanno pubblicare. Ebbene questi stessi eroi delle Patrie Lettere sono spesso schizofrenicamente presi a rivestire il doppio ruolo - per semplificare: pubblico e privato - di chi lancia o promuove ( e ne decreta il successo) un libro di cui poi in privato parlerà malissimo. E quello che colpisce è che è gente che sta negli stessi gruppi, che si vede in riunioni apparentemente concordi e molto famigliari. Persone che spesso si palesano fratelli, sodali, amici. Per parlare per esempio e rivengo ad Acciaio, di un libro di cui tutti sanno che devono parlare bene (per dovere di scuderia allargata) ma di cui in privato pensano e dicono tutto il male possibile. Ma questo è un vecchio discorso che chi sta nel mondo del lavoro ben conosce. Potrei fare anche esempi più vicini a noi, a voi. Sono sicuro che molti di voi hanno storie a riguardo. Nella mia piccola esperienza - un'esperienza peraltro confortante - nel mondo del lavoro non c'è uno che parli bene di un altro (colleghi di colleghi, capi di colleghi, capi di capi, colleghi di capi). La differenza è solo se il parlar male riesce a svilire definitivamente (ma anche qui il definitivo non esiste) la persona di cui dice male. Perché sempre e comunque si parla male. Il mio motto è sempre: di ognuno di noi si può parlare bene o male con ragione. Il punto è capire se si vuole il meglio da quella persona o ci si accontenta del peggio. In questa scelta c'è il futuro (e il presente) di noi lavoratori. Per le aziende e purtroppo anche per noi. Che bella che è la realtà! Così discorde.
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