Del buon uso del cetriolo (in pubblicità)
Premetto che non ho nulla contro il cetriolo in sé. Né come concetto assoluto né come concetto reale. L'ortaggio, il nutrimento. Il vantaggio del suo basso contenuto calorico. Il fatto che so che alcuni sono intolleranti allo stesso come al cocomero eccetera. Saussurrianamente potrei pure distinguere significato e significante e non mi sfugge il fatto che sia una limpida metafora per altro. Metafora che non mi è avulsa. Come metafora, come giro di parole per dire cose sgradevoli (e qui parlo per me). Metafora che ritengo pure di aver usato e forse talvolta abusato. Con ingenuità e infantilismo. Sono consapevole altresì che ne esiste un uso strumentale e che tale uso (improprio) sia scandaloso per alcuni. Eppure fino a qui ho pieno rispetto e non mi scandalizzo. Tutt'altro. Ma - e non credo che sia qui la prima volta che lo manifesto - mi irrita l'uso del sesso in pubblicità. Non mi piace. Ma non perché mi irriti in specie morale o tocchi una sfera pudica. No, mai. E' solo che non mi piace l'associazione sesso/vendita. E non voglio allargare il campo: non parlare di strade, né di politica, né di leggi di tutela. E di certo c'è un discorso "femminile" che non posso far finta di ignorare. Ma al di là di qualsiasi di questi discorsi e fatto salvo qualsiasi uso secondo o terzo di quell'ortaggio di cui sopra mi piacerebbe che chi vende maglioni, macchine, merendine, salotti o cucine quello vendesse. E magari anche lo status symbol di quello ma non il privato in quello. Ma viviamo un'altra stagione e, fuori stagione, e fuori contesto, sappiamo ora che il privato (l'iperprivato) è sempre più pubblico e pubblicizzato. E questo non mi piace. Proprio perché amo pervicacemente il privato tra l'altro confermandomi nel fatto che esista questa parola opposta a un'altra che qui riutilizziamo noiosamente e un po' indispettiti: pubblico.
Di seguito la querelle. www.affaritaliani.it/coffeebreak/sisley_modelle170910.html
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