Pavolini vs Pavolini: la letteratura come corpo a corpo con se stessi
La letteratura che mi piace è un corpo a corpo con se stessi. La letteratura che amo è quella dove, senza farsi sconti se possibile, si ingaggia una lotta con i propri mostri (il successo è ovvio è dato da quanto i propri mostri siano o divengano, grazie alle proprie arti, intellegibili agli altri), i demoni, le paure. Lorenzo Pavolini - che leggo ahimé in ritardo - ha davvero composto l'opera della sua vita. Ha scelto il suo campo di disfida: quello più urgente (urgente ma forse dolorosamente o silenziosamente rimosso) e ingombrante. La figura del nonno. E senza farsi sconti. E senza farli a lui. Alessandro e Lorenzo: mai conosciuti, mai presentati eppure l'uno almeno all'altro presente. Presenze: questa sì una parola che vale molto, che pesa molto come un'azione sicura - magari con pochi rialzi ma stabile. Presenze: anche quelle che non vediamo (e perciò crediamo di poter esorcizzare nella distanza). Presenze che affianchiamo o ci affiancano. Accanto alla tigre (che è poi il titolo del libro, Editore Fandango), diventa la metafora di questo andare a lato del proprio destino, quello dell'autore, quello dell'imponente avo, quello di lui con se stesso. A fianco ma con la tentazione di un balzo, sulla sua soma nel tentativo di cavalcarla.
Ps Ahimé (secondo ahimé della giornata) il libro lo ricorderò per l'insonnia dentro cui è proseguito. Come se la tigre, la mia trigre di oggi fosse questo poco sonno o quello per cui questo poco sonno sta. E che io non so.
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