Ho come sempre lasciato in sospeso due o tre discorsi. Uno era sul film di Moretti. Mi piaceva ripensando al film accendere una luce sul fatto che il papa esce dalla prigione del Vaticano per tornare in mezzo alla vita (i fedeli, la vecchia passione mai accolta in prima persona ma mediata dalla sorella per il teatro) mentre lo psicologo rimane imprigionato nel chiuso della quarantena in attesa del sì definitivo. E lui finisce invece per riportare nel gruppo le sue ossessioni (la pallavolo come necessità di sfida, la discussione del suo e altrui sapere). Lo scambio simbolico, sembra quasi uno scambio di ostaggi, ha come esito la liberazione (forse) dell'uomo di chiesa contro la riduzione all'immobilità e all'inanità dello psicologo. La teoria semplice della moglie di questi (psicologa anche lei) rende forse più leggera perché regressiva e quindi lontana nel tempo la diagnosi delle difficoltà del PapaNonPapa. In questo doppio stallo e in una piccola speranza nel lontano passato c'è forse tanto di questo film che non deve essere preso come un film anticlericale. Forse il finale un po' ad effetto (bandiere su-bandire giù, delusione) rinuncia a questo sguardo alto assecondando l'enfasi del fallimento (della percezione del fallimento). Mentre sappiamo che fallendo il Papa si nobilità e si ingrandisce nella fede. Così ci piace pensare (da non cattolici?).
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