La realtà è una cosa, i romanzi un'altra, dice Umberto Eco. E ha ragione. Eppure molti romanzi e opere d'arte hanno influenzato la loro epoca. Tanto che credo si possa parlare di destini incrociati
Nell'ultima "Bustina di Minerva" uscita una settimana fa su questa stessa pagina con i l titolo "Mentire e far finta" Umberto Eco affronta un tema di notevole interesse letterario: verità della vita reale e finzione in quella narrativa e romanzesca. Accade spesso, dice Eco, che i lettori si immedesimino a tal punto con la trama e con i personaggi del romanzo da credere (o aver la sensazione) che quella storia sia realmente accaduta e quelle persone siano veramente vissute.
Molti autori sono talmente scrupolosi da avvertire i lettori a non credere nella finzione mentre altri fanno invece di tutto per trarli in inganno simulando d'esser stati loro stessi i testimoni delle vicende vissute dai personaggi che magari nascondono sotto nomi di fantasia persone in carne e ossa e fatti realmente accaduti.
Eco ha ragione: la realtà è un cosa, i romanzi un'altra. Se i lettori si identificano con i protagonisti del romanzo, questa è un gran fortuna per l'autore e per l'editore perché il romanzo avrà successo. Se l'identificazione non c'è vuol dire che il romanzo è sbagliato e resterà largamente invenduto. E tuttavia i fatti sono fatti, le finzioni sono finzioni e tali restano. Questa barriera non va dunque mai dimenticata altrimenti può procurare danni alla società.
Ma è proprio vero che le cose stiano così? E' proprio vero che la finzione non abbia un ruolo concreto e non eserciti un'influenza oggettiva sull'epoca entro la quale è stata creata? Eco cita alcuni esempi a cominciare dal Don Abbondio dei "Promessi Sposi". Manzoni racconta il suo incontro con i "bravi" di Don Rodrigo come se quel colloquio sia veramente avvenuto e il lettore può essere indotto a crederlo dall'efficacia e dalla vivezza di quella prosa. Il fatto che Don Abbondio non sia mai esistito non toglie però che Manzoni non abbia colto e narrato una storia reale creando con la sua fantasia una figura eterna, quella del vile, del timoroso che si piega alla forza prepotente dei forti sui deboli.
"Il coraggio, se non ce l'ha, uno non se lo può dare", scrive l'autore mettendo nero su bianco una verità eterna e reale. E così, naturalmente, avviene per gli altri personaggi di quel grande romanzo: Don Rodrigo, Renzo, Fra' Cristoforo, il cardinale Federigo, l'Innominato, Perpetua, Agnese, Lucia, la Monaca di Monza.
La storia si svolge nel Seicento, nel Milanese dominato dagli spagnoli. Naturalmente è tutta inventata. Ma i "Promessi sposi" crearono il movimento dei cattolici liberali che ebbero un ruolo fondamentale nel Risorgimento, così come l'ebbero i romanzi del Guerrazzi, del D'Azeglio e del Grossi, le poesie del Giusti e del Berchet e le musiche di Giuseppe Verdi nella nascita del movimento mazziniano e del Partito d'azione.
Vorrei fare un altro esempio, quello del "Werther" di Goethe e delle "Affinità elettive". Due romanzi che ebbero un successo europeo, crearono un modo nuovo di sentire e di comportarsi, dettero l'avvio nella realtà dell'epoca al romanticismo e all'amore romantico.
Fu la società europea del primo Ottocento a far nascere nell'animo di Goethe quei romanzi o furono essi, la loro forza, a dare l'avvio al romanticismo della società civile? O ci fu un rapporto incrociato tra i fatti reali e quelli creati dalla finzione degli scrittori?
Personalmente credo a questi destini incrociati tra realtà e finzione e penso che anche Umberto Eco sia del mio stesso parere. Per cui non starei a preoccuparmi di separare realtà e finzione: sono solo le due facce della stessa luna.