Una poesia di Massimo Gezzi
Di Carvelli (del 07/09/2011 @ 15:04:28, in diario, linkato 1096 volte)
Ultimo trasloco
Come se ci fosse altro tempo, oltre a questo, altri giorni per sentire questo freddo salutare, imparare un’altra lingua, bussare a una porta socchiusa, entrare - le processioni sulle auto sul corso, l’intuizione di un bene nascosto al di là di tutti i muri e che solo rinunciando a tutti i muri brillerà (come la tavola del mare corrugata dalla brezza scintillava di origine ai prime raggi dell’alba).
Allora il nostro dovere di uomini liberi è di contare le finestre illuminate nel buio. Perché sul confine tra il paese e la campagna una donna si è svegliata a ruminare la sua angoscia (disoccupazione, amore inconfessabile che svelle la serratura della porta, malattia). Perché un uomo abbandona la sua casa una notte e tutti pensano che è vita, in fondo, quella, è bellezza.
Nei mobili ereditati dai nonni i nipoti leggono il passato come gli anni nel legno, accarezzano le assi e risvegliano il timbro della voce degli assenti, li invitano nella casa pitturata di fresco, li sistemano negli angoli, acquattati con il viso schiacciato sulle ginocchia a mormorare la preghiera che il vento ogni sera chiede al mandorlo, la perfetta consistenza del tuo sangue che attraversa ogni singolo millimetro di te, senza svegliarti.
da http://www.nazioneindiana.com/2010/04/19/32677/
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