S.Darko, la Munro e l'amicizia femminile in tempi adolescenziali
Partirò da un film non bello (ma che almeno mi è servito ad allenare il mio inglese) - S.Darko - e da un racconto molto bello, invece, di Alice Munro per dire qualcosa sull'amicizia femminile in tempi adolescenziali. Per dire forse anche qualcosa dell'invidia mia per quel miscuglio un po' debole e un po' inamovibile che è lo stringere un legame che dura a dispetto di tutto. Anche se poi magari si perde irreparabilmente e con la stessa forza. Il racconto di cui parlo si intitola Jesse e Meribeth e nel titolo già storpia i nomi del nuovo battesimo dell'amicizia. Una cosa che mi piace in questo racconto ma spesso nella Munro (questo è uno dei due tradotti da Silvia Pareschi invece che dalla Basso ma sono entrambe due traduttrici magnifiche) è la tripla aggettivazione (che qualche volta gli editor cassano): "artificiosi, avvilenti e formali"; "intimo, ombroso e trascurato" . Ma l'inizio? L'inizio, dico. Avete presente la maestosità semplice? "Ai tempi del liceo strinsi un'affettuosa, sincera, monotona amicizia con una ragazza di nome MaryBeth Crocker. Mi abbandonai a quel legame come d'estate mi abbandonavo alle acque tiepide del Maitland, quando mi sdraiavo sul dorso e, muovendo solo mani e piedi, mi lasciavo trasportare dalla corrente". (Guardatevi poi, in parallelo, il finale, la separazione dove l'elemento dell'abbandono/distacco è il vento che entra nel negozio e sembra volersi portare via una delle due). E il seguito è sempre di un'intensità sorvegliata e bellissima. Fino alla rivelazione di quel sentimento che dicevo: "Io e MaryBeth ne parlavamo spesso. Lei diceva che quando era sgattaiolata verso la mia sedia le batteva forte il cuore, ma si era detta: ora o mai più". E io vi dico che lo so, che l'amore alle volte è meno di tutto questo. E che ha ragione Jonathan Franzen quando scrive: "Alice Munro è uno dei pochi scrittori a cui penso quando dico che la letteratura è la mia religione".
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