Sono andato di meno al cinema in questi mesi. Per un maggiore carico di lavoro e impegni vari. Forse anche per una resistenza a un "nuovo" spesso deludente. Non è il caso di Cesare deve morire dei Taviani. A cui pure mi sono avvicinato con sospetto sembrandomi uno di quei film in cui il clamore dell'uscita e una pretesa "giustezza" civile ne rendevano imprescindibile la visione. Una sorta di tabù contrario. E anche, più prosaicamente, un argomento da conversazione salottiera. Non è così. E' un film potente, ben costruito. Molto ben costruito e sceneggiato. Ben fotografato. E - come saprete dal tam tam che io ho temuto - magnificamente interpretato. Lungo quella linea tra verità e finzione che è propria del registro scelto (il docudrama, appunto) e del metatesto che in questo caso rimanda: la vendetta ben interpretata è quella della realtà o della finzione? E chi ringrazia chi in questa messa in scena? Shakespeare i detenuti o viceversa? Qual è la scuola della vita che forma tanto odio e tanta insidia? Quale pratica la rende efficace? Se Cesare doveva morire perché Shakespeare ne scrivesse i detenuti dovevano recitarlo perché se ne capisse più profondamente la ragione. Nel bene e nel male. Nel giusto e nello sbagliato.
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