Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank
Nella raccolta "Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank" (Einaudi) di Nathan Englander c'è un racconto di truce realismo e di candida follia. Autore (sic!: senza nome e come fosse una funzione) va in giro per gli States a presentare il suo nuovo libro. E' reduce da successi. Ma reduce, appunto. Pochi che si ricordino di lui. Così - come sa chi ha presentato libri e teme - non si presenta nessuno a questi happening. Né alla prima né dopo. Salvo un buffo personaggio, un seccatore diremmo. Eppure finisce per essere l'alleato del suo perduto passato. La memoria flebile del meglio che è stato. Autore. I soldi finiscono, il giro continua. Ma nelle librerie solo Autore e il tipo buffo che lo costringe ad ottemeperare alla regola aurea che "se c'è qualcuno comunque la seduta è valida". La lettura non ha un numero legale. Conta da uno. E un/lo Autore deve saperlo. Anche se è fiele essere per pochi (e consolazione è che sia melassa essere per troppi). I racconti di Englander sono molto belli - non saprei dire se sono la sua forma migliore (come ho letto in molti) perché mi piacque pure "Il ministero dei casi speciali".
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