Pubblico il totale del pezzo/intervista per R360
OLFATTO C’è un odore di Roma? Uno solo? Uno per tutti? O c’è un percorso olfattivo come ce n’è uno sonoro? O momenti? Piove ed è agosto: l’asfalto si fa caldo e comincia a coprirsi d’acqua e a trasudare odore di polvere bagnata La Stazione Termini, l’odore dei ciottoli tra le traversine, lo stesso che abbraccia in una linea tutte le fermate del trenino Ferrovie Laziali-Pantano. L’urina all’angolo dei caseggiati con ampia tettoia per ricovero dei diseredati come l’ampio letto di marmo di via Marsala davanti alle poste. L’odore della menta selvatica (di notte, di giorno solo polveri sottili) del Cimitero Verano, la piscia dei gatti. Ovunque, a rimarcare la signoria sulla città.
TATTO I piedi sono il tatto della città. La propaggine più lontana dagli occhi ed automatica che possa percorrere le vie di Roma. È un tatto protetto, da gomma e cuoio, è un tatto anestetizzato dalle intermediazioni quindi ma è la via che scopre le asperità del sampietrino di Campo de’ Fiori, di via Urbana sconnessa per fasto antico o quegli asfalti consunti per abuso e raramente rigovernati per overdose di viabilità come quello di via del Corso. O, ancora, quelli tutti nuovi, neri e morbidi fino all’impronta d’estate dei quartieri in espansione. O quelli stratificati dello spiazzo davanti alla basilica di San Giovanni, patchwork di tappi a strappo.
GUSTO Non è il sapore della mia città forse è più una madeleine mia. Per me è il sapore ferroso che avevano le mani che erano state appese agli autobus di una volta e poi tradendo un divieto finivano in bocca per avere il sapore stesso del sangue. Ma il sapore è quello che ti metti in bocca per necessità e la necessità a Roma è la pizza bianca. È il ritaglietto con cui ci fermi lo stomaco (si dice così e sembra una attache per fogli) come il pranzo di chi lavora. Ogni forno ha la sua ricetta e va bene: quello di Campo de’ Fiori, la boutique Panella a via Merulana, il panificio di piazza San Cosimato, Roscioli a via dei Chiavari, ma qualsiasi alimentari va bene l’ideale è un forno come quello di via del Pigneto, per esempio, con il suo avanti indietro dal bancone alle retrovie panificatorie. Ma ora Roma è soffritti ad ogni ora del giorno della notte e sono abitudini di seconda generazione figlie di cucine orientali di lunga meditazione e procedura. Vedi alla voce Esquilino.
UDITO Il percorso dei suoni di una città è il percorso della modernità. Una polifonia suonata dagli ingorghi al ritmo di una frequenza quasi cardiaca di flussi e riflussi. Ma questa è cifra comune. Per andare nel merito forse bisognerebbe notare l’assenza del suono e parlare della notte nelle vicinanze dei parchi: Villa Torlonia, Villa Albani (chiusa anche il giorno), Villa Doria Pamphili, Villa Ada. Un muro alto e l’aldilà degli animali. Un luogo felice, ore felici, solo per loro. Passandoci al lato il pensiero di un eden tutto loro fatto di squittii, cinguettii, abbaiare, scavare di buche, ali che sbattono.
VISTA “La seduzione del panorama”. Il pensiero del racconto era questa strana coincidenza. I luoghi della seduzione, del corteggiamento sono gli stessi dai quali puoi vedere la città: Zodiaco, Gianicolo, Pincio, Giardino degli Aranci. Come se vedere fosse già un po’ avere. Sembra che ci dica questo. Sembra che tutti vogliano dire questo. Guarda Roma! Possiedila con gli occhi! E c’è uno strano sottinteso che non lascia credere alla casualità. L’amore è sempre a prima vista o è interesse. Non amore, cioè. Il primo sguardo su Roma non è mai d’insieme. È strano pensare a quanta gente ci viva senza averla mai vista per intero. È come amare una persona per una sua parte. Un feticismo dello sguardo che non è grato abbastanza alla fortuna di avere dei capanni di osservazione così a rilievo rispetto a chi non ne ha.