La sintomatologia delle opere maggiori. Sulle lettere di Elsa Morante
Leggendo “L’amata. Lettere di e a Elsa Morante” (Einaudi) mi sono chiesto se sarebbe stato un titolo più appropriato “L’amante”. Il libro trabocca, infatti, di un amore straziante. Agito o patito. Compreso o illuso o tormentato. Il suo e quello degli altri. Quello amoroso e quello sentimentale destinato con non minore impiego di forze agli amici e alle amiche. “So che questa maniera pazza è la sua di volere bene. Vorrei, non so che dirti, fargli sentire delle parole bellissime, una musica tanto potente da riuscire a spiegargli che cosa è la vera bellezza della vita e del mondo” (e lui è Alberto Moravia e l’amore tormentato che li unisce è corrisposto nell’impressione del buio e della gelosia che lui le rimanda nelle lettere in cui cerca di stiepidire il suo dolore e la sua acrimonia). Ma per la Morante non è possibile un amore in sordina, attenuato, "normalizzato". A Enrico scrive: “Perciò puoi capire che i miei sentimenti verso di te non sono di fredda cortesia. Al contrario ti voglio bene al punto che sarei pronta a rinunciare a gran parte della mia felicità (se l’avessi), pur di saperti felice. Invece, per la tua felicità non posso fare proprio niente. Non potrei, nemmeno se lo volessi. Credo di essere la persona meno adatta a fare la tua felicità. Ammesso che questa persona esista”. C’è ovunque una generosità accogliente e rispettosa. Parlando di Fabrizio con terzi che cercano di avallare un lato non colto dice: “Come faccio a crederlo un’altra persona? (…) Perché è vero che lui cerca di proteggere la sua intimità da certi attacchi troppo violenti della vita: come certi animali (per esempio i ricci di mare, ecc.) che sono fatti di una sostanza delicata e vulnerabile. Così è lui: ma questa protezione che lui si fa intorno, (xxxxx) io l’ho sempre guardata non solo con perdono, ma anzi rispettandola con molto affetto”. La tragicità di EM la dice anche Goffredo Parise in una lettera: “ti penso sempre, sotto il peso della tua tragica vitalità intellettuale e della poesia”. Questo vivere nella tragicità bella e intensa delle relazioni emerge anche nel carteggio “amico” con Goffredo Fofi a cui rimanda un invito alla rottura degli schemi precostituiti: “Difatti, le nostre difese sono all’opposto. Tu a me sei caro fuori da ogni schema; però tu, per almeno perdonarmi, forse dovevi farmi rientrare in qualche schema. E allora devo dirti (e del resto tu già lo sai, perché in realtà tu capisci tutto) che io non rientro in nessuno dei tuoi schemi”. Non manca l’ironia (come in molte lettere ad esempio quelle indirizzate a Wilcock: W1 e W2, sono le due personalità che sintetizza EM) e il pensiero bambino. Ma è senza dubbio l’amore a fare la parte del leone e dell’agnello a turno in questo carteggio davvero ben curato e necessario. Spesso per autori vasti di scrittura e ispirazione la discesa nei carteggi ha un valore impensabile. Come se potesse simboleggiare la sintomatologia delle loro opere maggiori.
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