Letteratura di provincia e provincia di letteratura
Mi è sempre piaciuto pensare che l’Italia abbia avuto – e abbia tuttora – una sua buona generazione di voci in letteratura capaci di parlare dal piccolo della provincia al largo bacino dei lettori che – almeno si pensa – vivono nelle grandi città. Con forza, con esattezza. In un certo senso, il mio è un pensiero al netto di ogni facile propensione, con una sua forza ma anche una sua giusta dimensionalità. Voglio dirlo altrimenti. Credo che a molti intellettuali sia piaciuto e piaccia pensare – dal centro – che il racconto della provincia possa in qualche modo avere la forza di una catarsi. E questo fa propendere, in certo qual modo almeno, per una debolezza verso la letteratura della provincia. Una sorta di complesso di inferiorità. Talvolta – anche se non consapevolmente – con la sordida (non dichiarata) maglia della salute di un “notizie da una provincia dell’Impero”. Allargando l’orizzonte, tecnicamente, la lettura rischia di essere una potente forma allucinogena. Più consueta per luoghi che hanno lunghezza e difficoltà di attraversamenti? Più facile per chi ha meno costi-tempo correlati alla maggiore dimensione? Raccontare la provincia, per noi che stentiamo in urbe, può avere l’urgente temperie di un alleggerimento. Il mondo ci grava addosso la sua pena fisica e noi la traduciamo in metafisica per mezzo della letteratura. Scrivo un po’ di provincia e di letteratura dopo aver letto questo significativo bestiario umano della provincia di Marco Drago “La vita moderna è rumenta” (uscito per la Zoom della Feltrinelli ovvero solo in ebook). La provincia (Canelli, nell’astigiano e dintorni) di Drago – uno dei narratori della grande provincia anni Novanta (meritoriamente monitorata anche con la bellissima rivista di cui è stato uno dei fondatori e animatori, Maltese Narrazioni) e successivi che mi piace qui nominare insieme con la ingiustamente dimenticata anconetana Silvia Magi (che esordì per la Rizzoli con la prodigiosa scarna e scabra raccolta di racconti di “Tutto quello che mi sta a cuore”) e con Sandro Campani (che raccolse storie di un appennino tosco-emiliano in “È dolcissimo non appartenerti più” per la Playground). Ovviamente è una selezione strettissima che non inquadra tutto un fenomeno complesso e ricco d’Italie e di stili diversi. Più attenti a sfumature o a generazioni. Un fenomeno a cui si aggiunge il nuovo di Alessio Torino e la sua Urbino. Insomma una foto metafisica più che un gruppo di famiglia. In realtà quello che volevo scrivere qui è una contenuta felicità per questa speciale dotazione di scrittrici e scrittori che aggiungono sapore a una letteratura spesso troppo metropolitana senza per questo assegnar loro il vantaggio dell’esotismo. Piuttosto il beneficio del saper inquadrare, con assolutezza di osservazione, una linea-tempo che nelle letteratura metropolitana viene spesso troppo suggestionata dal fluire delle mode e della transitorietà dell’esperienza del consuma e crepa.
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