Le persone (l'introduzione di Claudio Damiani)
Pubblico qui l'introduzione scritta da Claudio Damiani per il mio ultimo libro "Le persone" (Kolibris edizioni).
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La scrittura di Roberto Carvelli è anzitutto osservazione di cose vicine, molto concrete e tangibili, luoghi che viviamo e amiamo, che ci circondano e contengono, su cui poggiamo, cose che tocchiamo, su cui rimane la nostra orma. Un suo libro si intitola Letti, e racconta uno per uno i letti su cui l’autore ha dormito, dalla culla in poi.
È come se Carvelli potesse parlare di noi solo attraverso le impronte che lasciamo, come se la sua fosse un’archeologia del presente. Come se così veloce scorresse il presente, e così poveri, così fragili noi, che altro non si potesse che attaccarsi alle cose, come a tronchi o pietre che anche loro rotoleranno nella corrente della vita.
Così Carvelli ci conduce per mano per i nostri luoghi, tra le nostre cose: in casa, nelle nostre stanze (la cucina, “luogo delle soste / inattese e indefinite”, il corridoio, lussuosa “viaria degli incontri”, la stanza da letto, luogo della smemoratezza, il bagno, luogo di pensiero, di scelte fondamentali), al parco (“eden pubblico”, sacra rappresentazione dell’al di là), in ufficio (“luogo del tempo” e del suo spreco, dove “le persone realizzano / nel lavoro / la loro più compiuta inaffidabilità / e si declassano / di un rating / vicino alle cose / di cui sono arredo”), in vacanza (dove le persone si aggrappano ossessivamente agli scatti, alle fotografie, perché sognano “di essere perfette e finite, / di non essere più quello che sono / ma un qualcosa di simile / al marmo, al bronzo, / alla materia che plasma / l’infinito nel finito”), e insomma davanti a tutto “lo spettacolo della società”, tutti noi immagini, foto di qualcosa o di qualcuno, “spettatori” che “spettano” a qualcuno, non a se stessi, e quella “legge della traslazione” come la chiama Roberto, quel non poter tenere la responsabilità, quel dare sempre la colpa a altri, o a altro, o al fato, che è così tipica delle persone.
È come se Carvelli, che ci guidò un tempo per le vie di Roma nel suo indimenticabile Perdersi a Roma. Guida insolita e sentimentale, ci guidi ora nel museo della nostra vita quotidiana, illustrandocene ogni stanza, ce le faccia vedere tutte, impietoso, le miserie, le vanità, e tante cose piccole e minime di noi, ma significative, di cui non tutti si accorgono, e come corra giù rapida la vita verso la foce, come un torrente torbido invernale, come cade e decade il nostro corpo, e il nostro tempo; e come siamo, però, pur tuttavia, “persone”, come possiamo esserlo e non esserlo. E ci dà, allora, delle indicazioni, non è solo un Cicerone, è anche una guida spirituale, un Virgilio. Non voglio stare qui a dirle, le troverà il lettore, sono sparse nel cammino, come i grani che i bambini portano ai pesci del laghetto del parco, e involontariamente perdono: “a passi incerti / e mani lasche, / come in una favola / seminano grani”.
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