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Lydia Davis, Pezzo a pezzo di Adelaide Cioni
«Ingannare se stessi è peggio che ingannare gli altri». dai Diari di Tolstoj
«Torno a casa dal lavoro e c'è un suo messaggio: che non viene, che ha da fare. Richiamerà. Aspetto che si faccia sentire, poi alle nove vado da lui, ma non è in casa. Busso alla porta del suo appartamento e poi a tutte le porte dei garage, non sapendo quale sia il suo – nessuna risposta. Scrivo un biglietto, lo rileggo, scrivo un altro biglietto e glielo appiccico alla porta». da "Storia" di Lydia Davis
Qualche mese fa ero a cena con un gruppo di traduttrici, era una tavolata lunga, e mi trovavo a una delle due estremità. A un certo punto, parlando con Gioia Guerzoni, alla mia sinistra, è venuto fuori che lei aveva tradotto il romanzo di Siri Hustvedt, l'attuale moglie di Paul Auster, buffo ho detto, io invece ho tradotto i racconti di Lydia Davis, la prima moglie di Paul Auster. Al che Susanna Basso, alla mia destra, ha esclamato, E io ho tradotto Paul Auster! E siamo rimaste tutte e tre un po' sconcertate, per la casualità di quell'anello che si chiudeva lì, fra noi tre, tre ombre di tre scrittori, che oltre a una storia letteraria hanno naturalmente una storia di amori che forse a qualche livello arrivano a toccarsi. E in effetti, quando ne "La lettera" di Lydia Davis leggo della protagonista che va a cercare il suo ex alla pompa di benzina, dove lavora, e lo trova nell'ufficio a leggere Faulkner sotto le luci al neon – anche se l'autrice non lo dice, e anzi nega ogni riferimento autobiografico – non posso fare a meno di pensare che l'ex in questione sia Paul Auster, che quegli occhi che si alzano verso di lei pieni di circospezione siano gli stessi occhi fondi e neri della copertina dell'edizione originale di Sbarcare il lunario. E così anche nella descrizione dolcissima e straziante dei piedi di lui, mentre è a letto a leggere, e li tiene prima incrociati con «le dita che puntavano ad angoli diversi della stanza» e poi si gira e li tiene uniti, «come le due metà di un frutto», e poi «sempre leggendo, allungava una mano e si sfilava i calzini e li buttava appallottolati sul pavimento».
In fin dei conti però, gli amori in letteratura non sono che un pretesto, un modo come un altro per mettere alla prova la duttilità delle parole, e quindi possiamo anche tralasciare completamente che si tratti o meno di Paul Auster, perché la descrizione del vuoto di significato proprio della fine di un amore, di qualsiasi amore, nelle mani di Lydia Davis diventa una specie di bomba a mano. A lasciare senza fiato è la sua precisione chirurgica, la sua assoluta mancanza di paura nell'inseguire il senso delle cose, di inseguire testardamente il ritmo e l'incedere del pensiero stesso. O meglio del pensiero emotivo. Ingannare se stessi è peggio che ingannare gli altri, questa la frase che legge il protagonista di "Estratti da una vita" aprendo una pagina a caso dai Diari di Tolstoj. E questo sembra voler fare Lydia Davis in Pezzo a pezzo: dis-ingannarsi. Perché tanto, che prima o poi (o sempre) ci si inganni è poco ma sicuro, e allora ripercorrere all'indietro gli eventi, mettere insieme i pezzi di ciò che si è provato, assume il senso di un'indagine emotiva al tempo stesso spietata e dolcissima, nonché, grazie all'ironia dell'autrice, a tratti buffa. Non è un caso che Lydia Davis sia considerata un mostro sacro della letteratura americana da Rick Moody (che ci ha confessato di meravigliarsi quando la va a trovare e la vede ai fornelli che cucina) e da Dave Eggers: questi 33 racconti sono, semplicemente, necessari.
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