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 Il letto di Michela... di Carvelli
 
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In un certo senso, avere una dipendenza è sinonimo di intraprendenza. Una bella dipendenza come si deve toglie alla morte l'elemento sorpresa. Perciò si può progettare la propria fine, eccome. (...) La verità è che il sesso non è sesso se ogni volta non lo fai con un partner diverso. La prima volta è anche l'unica in cui uno c'è dentro completamente, con la testa e con il corpo.

Chuck Palahniuk
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Come inizia VOTARE NEL MUCCHIO
Di Carvelli (del 29/03/2006 @ 15:59:10, in diario, linkato 1614 volte)

 

 

Primo gennaio

Ho fatto un capodanno turco. Nel senso letterale della parola. Il mio 1° gennaio l’ho passato ad Istanbul. Pochi fuochi d’artificio, molte danze del ventre, kebab, Ataturk e taksi (mai viste tante auto gialle con al volante il peggio dell’affarismo truffaldino e d’accatto). Alcol moderato. Narghilè. Non eravamo i soli italiani, né i primi e a controprova nel Gran Bazar ci sentivamo chiamare in lingua. “Tu italiano?”, “Ciao come sta?”, “Italiano? Forza Italia”. È probabile che nessuno avesse deciso di anticipare la campagna elettorale in suolo ottomano ma il sospetto dell’assonanza è riecheggiata al ritorno. Il pullman che riporta a Roma Termini dall’aeroporto di Ciampino è uno di quelli che, normalmente, ti porta in gita. Dal finestrino pioggia a dirotto e i primi manifesti che suonano novità  a noi abituati alla città turca così evasiva di autocelebrazioni capitalistiche o almeno contenute. Casini incita alla responsabilità e guarda avanti. Con piglio. Vorremmo dire fiducioso ma il dubbio soggiace. Chi deve essere responsabile? Chi lo è? Chi dovrebbe esserlo? Pochi metri di pioggia ancora e troneggia l’orizzonte berlusconiano. Forza Italia – l’imperioso incedere battagliero di un capitalista della prima Repubblica convinto allo scendere in campo dell’agone politico e alla sollevazione delle masse contro il vecchio paventato rischio comunista in ragione di un liberalismo sperticato e di ammanchi giudiziari – ha abbassato le piume e vira verso una comunicazione meno trionfalistica. Più resistente. Più paternalistica e materna. “Italia, forza”. Sembra uno sfiato più che un grido, un “proviamo” più che un peana. “Italia, forza”. Ce la puoi fare sembra dire il vecchio leone ora pacificato dai nulla di fatto dei processi (e scomparso visivamente dal messaggio). Inizio il mio diario elettorale da qui. Avvio il viaggio nei partiti da ora. Comincio a scrivere le elezioni da questo punto visivo. Da questo salto comunicazionale. La nuova campagna si annuncia improntata alla richiesta più che alla promessa. Alla millanteria segue la supplica. Alla certezza segue la richiesta d’intesa. Al calo dei sondaggi e della reputazione l’offerta di informazioni mancanti. “Non abbiamo comunicato abbastanza… impegneremo parte della nostra campagna elettorale a dire agli italiani quello che abbiamo fatto in questi anni di governo”. È un po’ come a scuola. Uno non aveva studiato e invece di dichiararlo apertamente provava a rimpastare le poche informazioni possedute alla rinfusa cercando di farne un sapere omogeneo e credibile e di fronte alle critiche di chi sbugiardava quella claudicante preparazione provava a ribaltare il risultato dell’interrogazione dicendo di aver risposto a tutte le domande. Serve più responsabilità. È vero.

Tre gennaio

Sezione Ds Prenestina – via Fortebraccio

Questa è casa mia. Pochi metri e vedo il balcone. Ma sono sceso e mi sono mischiato ai militanti. Due. Forse uno sarà il capo sezione. Forse no. Io di politica e lo dichiaro prima di venire sbugiardato come lo scolaretto di cui sopra ne sono meno di zero ma con uno spregio quasi radicale per la politica professionale mi lancio nel risvolto umano di questa tenzone delicatissima che sono le politiche 2006 come un pornoattore o un calciatore o un cantante prestato alle croci elettorali. La storia non è semplice. Solo in questi ultimi giorni si parla di marcio con un arco trasversale molto ampio. Stamane Mario Monti dalle colonne del Corriere della Sera invitava i due schieramenti a praticare un americana convergenza o pax che dir si voglia a beneficio del liberalismo dai due schieramenti (in buona parte) propugnato e alla presentazione (tardiva) del programma dei primi cento giorni di governo. Cento giorni. E siamo ancora ad evocazioni scolastiche. Solo che quello che lì appariva come un attesa di abbandono qui si insinua come una prova di volontà che fa più impegno che vacanza.

Giorni fa dalle colonne di la Repubblica Eugenio Scalfari ha invocato lo spettro morale di Enrico Berlinguer mentre Beppe Grillo dal suo blog ha chiesto a Fassino di fare pulizie interne. E ce l’aveva soprattutto con D’Alema e Violante, rei di poca correttezza e di profili incerti. Nei giorni scorsi si era parlato delle intercettazioni allo stesso Fassino per il caso della scalata Unipol, ventilandone una certa tacita accondiscendenza e il nome di D’Alema era rispuntato a proposito di un pagamento della sua barca a vela. Insomma, la situazione appariva poco chiara e Prodi dichiarava la sua “preoccupazione”.

Naturalmente queste cose le ho sapute poi, in Italia, visto che in Turchia non mi è successo altro che fez, kilim, succhi di melograno e hammam. Mi sono disintossicato. Diciamo così.

 

La sezione dei Ds della mia zona è tutta di legno imperlinato. Se ci metteste una ventina di tavoli avreste una trattoria romana tradizionale. Cucina tipica. E invece è vuota. A parte all’ingresso una friggitoria professionale da asporto che devo aver visto all’opera alla locale festa de l’Unità e dei festoni che hanno scampato – immagino – il recente ultimo dell’anno. Quello che io ho fatto proprio in mezzo a Aya Sofia e la Moschea Blu, senza spumante, con due bottigliette di birra tintinnanti.

Qui devono avere bisbocciato ma non si vede. La sala è sgombra a parte i festoni e il volantino a parete che testimonia come la sala sia imprestata ad una palestra taoista di arti marziali. Nella prima sala, l’unica che rumoreggia si dichiarano “ferrovieri” come se dicessero “prigionieri politici” e fumano a rotta di collo. Mi indicano l’aldilà della grande sala vuota dove trovo due antichi militanti. Uno in jeans, l’altro vestito più distintamente. Al primo squilla il cellulare in un avantipopoloallariscossa con tanto di coro a cui segue un “sono in sezione”. Mi offro per tavolini, campagna elettorale. Il loro benvenuto è sincero e corale. “Devi tornare dopo le feste”. Mi informo: non serve la tessera anche se sarebbe meglio. Anzi sai che c’è… noi facciamo delle riunioni allargate e se ti va puoi partecipare, così per renderti conto. Ma ora è presto. Tra una decina di giorni comunque parte tutto. Faccio presente che parteciperei volentieri anche a qualche incontro e chiedo se verrà e chi. “Mica lo sappiamo – sempre quello in jeans –, noi chiediamo solo in federazione e poi loro mandano chi c’è disponibile. Alle volte è venuto Fassino, D’Alema o anche Bettini. Chi è disponibile.” E voi chi chiamereste? Glissano.

A terra c’è una lucidatrice da pavimenti in marmo. È messa di lato, rivoltata, come se la stessero aggiustando. Il pavimento è tutto bagnato. “Ritorna… dopo le feste parte tutto e se vuoi puoi partecipare. Ma tu dove stai ad abita’?”
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