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Quando il bambino era bambino
Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese. Voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente; e questa pozza, il mare.
Quando il bambino era bambino, non sapeva d'essere un bambino. Per lui tutto aveva un'anima, e tutte le anime erano tutt'uno.
Quando il bambino era bambino, su niente aveva un'opinione. Non aveva abitudini. Sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via. Aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.
Quando il bambino era bambino, era l'epoca di queste domande. Perché io sono io, e perché non sei tu? Perché sono qui, e perché non sono lí? Quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio? La vita sotto il sole, é forse solo un sogno? Non é solo l'apparenza di un mondo davanti a un mondo, quello che vedo, sento e odoro? C'é veramente il male e gente veramente cattiva? Come puó essere che io, che sono io, non c'ero prima di diventare? E che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?
Quando il bambino era bambino, per nutrirsi gli bastavano pane e mela, ed é ancora cosí.
Quando il bambino era bambino, le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere. ed é ancora cosí. Le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosí. A ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora piú alta, e in ogni cittá, sentiva nostalgia di una cittá ancora piú grande. E questo, é ancora cosí. Sulla cima di un albero, prendeva le ciliegie tutto euforico, com'é ancora oggi. Aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne. Aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.
Quando il bambino era bambino, lanciava contro l'albero un bastone, come fosse una lancia. E ancora continua a vibrare.
C'è un racconto della raccolta di Aimee Bender - La ragazza con la gonna in fiamme (minimum fax), che al punto in cui sono mi è sembrato il migliore, in cui succede qualcosa di pericolosamente bello. Pericoloso è anche forse solo immaginare o provare a spiegare che succede in questo racconto di bello. Come in altri, peraltro, di questa scrittrice americana. Pericoloso sciogliere il legame parossistico tra Jill e Renny, in esaurimento tra Jill e Matthew. La scrittura - nella quale la Bender a suo modo eccelle - qui cede il passo alla costruzione. Così si viene trascinati involontariamente in un gorgo. O, per rimanere al racconto, verso un precipizio. Come noto - se non altro in una visione meno accreditata ma di moda - un precipizio non è spesso una caduta. Ma una sollevazione. Può quanto meno esserlo. Cosa che succede nel punto di intersezione tra due pericoli. Quello di Jill che sembra destinata a un'uscita di scena. Quello di Renny che si sente obbligato ad una analoga presa di distanza dal mondo e anche da sé. Cosa che per entrambi avviene ma non nella forma definitiva che sembrano inconsapevolmente (una strana forma di inconsapevolezza cosciente o rassegnata, quasi sacrificale) raggiungere ma in un'altra che leggerete. E che forse, come me, immaginerete pericolosamente e inconsciamente risolutiva. Vitalistica ma solo per dire che spesso la vita(lità) passa per un abbandono e una caduta. Una caduta, appunto, di un tipo diverso.
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