Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Le cose stanno così: ognuno sta solo sul cuor della terra ma rompe i cojoni agli altri. Non si fa a tempo a vedere un raggio di sole che è subito sera. Che si fa?
Si esce? Sì ma nessuno vuole andare dove vuole andare un altro. Così rompe i cojoni a tutti. Poi esci e trovi le persone negli stessi locali. Tutti, ma proprio tutti, lì. Che fine hanno fatto tutti quei dissensi? Boh. Stanno tutti lì. Dissuasori e dissuasi. Torni a casa indisposto come indisposto eri uscito. Indisposto per chi non sa l'etimologia è un neologismo che viene da indispettire. Indispettito sei a casa e dici tra te e te che la prossima volta se deve andare così è meglio se te ne stai a casa. Almeno risparmi. Almeno non vedi quelle facce annoiate. Ognuno sta solo sul cuor della terra ma ci rincontreremo purtroppo negli stessi locali. Ma non sarà subito sera. Dovremo aspettare indispettiti e indisposti tornare a casa.
Nemo profeta in patria (o non sempre), ho qualche volta portato libri d’altri in case editrici in cui avevo pubblicato i miei o con cui ero in buoni rapporti. L’ho fatto convinto. Animato – mai senza – da una inflessibile legge della gratuità e del valore che avevo riconosciuto in quel testo che mi era stato mandato. Per dirla altrimenti: ho, le rare volte che è capitato, portato cose che ritenevo interessanti in luoghi in cui potevo essere ascoltato. Cose che avrei – non vorrei dire “pubblicato”, non essendo editore, anche se, per sensibilità mia, sono consapevole e partecipe dei rischi d’impresa – letto, apprezzato. Spesso immaginando che avrebbero potuto meritare non solo ascolto di altri ma di molti altri. Approfitto di questa breve dissertazione per raccontarvi dell’ultima volta in cui questa cosa è capitata. L’ultima, senza successo, per così dire anche se in ordine di tempo ne è capitata un’altra ma diversa: in questo caso, l’editore a cui segnalavo la proposta di pubblicazione ci pensava nel momento in cui la stessa era finita in altre mani, altre rotative, altri cataloghi. E ce ne siamo (inutilmente) addolorati insieme. Approfitto di questa breve dissertazione per segnalarvi un libro da poco uscito (non per merito mio, purtroppo) per una validissima casa editrice di ebook, la VandA. Il libro di cui mi sono fatto latore, senza successo (alle volte capita) è dedicato a Siracusa ed è bellissimo. Sia che siete ortigiani, siciliani, continentali, moderni o antichi, abitanti o in transito. Lo ha scritto Giuseppina Norcia miscelando sapientemente cultura, curiosità e capacità di visione. Sabato 9 agosto una recensione spiccava sulla prima della cultura del “Corriere della Sera” risaltando l’elemento forte di questa visione scomposta e, in un certo modo, biografica della città siciliana – biografica, poi vedremo in che senso. “Siracusa. Dizionario sentimentale di una città” (www.vandaepublishing.com/prodotto/siracusa-dizionario-sentimentale-di-una-citta/) è stato scritto come una mappa senzatempo, congelata tra passato e presente in una forma per così dire “destinata” quasi che un luogo potesse avere un modo suo (costruito nel tempo e su di sé) di farsi vedere diacronicamente. Quello della Norcia è un lavoro sul mito della città mosso da una conoscenza profonda nel dato visibile e in quello non altrimenti visto che nella forma di quel lavorio del destino. Il Bagno ebraico, le cave di pietra (“Non si può comprendere Siracusa senza vedere le sue cave di pietra… è questo calcare che le dà forma e fa di lei la città bianca, la terra della luce, della bellezza quasi insostenibile”), la Giudecca: Giuseppina Norcia mostra di conoscere la sua città come pochi altri. E di farlo nel nome di un rapporto con lei che ha costruito per dei tracciati che non sono solo cultura o studio ma un’assimilazione “di vita” che rende Siracusa un corpo di rovine “vive”, non solo parlanti ma “guardanti”. Viventi, appunto. E in quella forma sentimentale (sottotitolo del libro) che fa provare sentimenti ai luoghi e non solo dei luoghi. E’ un piccolo grande merito che forse merita più di una lettura. Ma, sono certo, leggerlo vi aiuterà a vederlo. E a viverlo. Anche se solo di passaggio.
Il concetto di Weltliteratur ha ascendenti goethiani e data 1827. Poi riscuote successo e trova in un certo afflato politico un rimbalzo diffuso e vario. Persino Mazzini ne coglie sviluppi quantomeno “europei”. In molti c’è, dunque, associata l’idea di un superamento dei confini dei popoli che dà alla letteratura la forza di una visione totalizzante secondo un’aria di romantica unione dei popoli. Qualcosa che, per altro verso, ha trovato forse piena e non sempre felice realizzazione in entrambi i sensi. E tanto, per altri versi, da far domandare a Parks se – ad esempio – il largo uso di “oggetti tipicamente americani” che fa Franzen (che rimane comunque molto letto fuori USA) abbia un corrispettivo in un altrettanto uso di particolari minori in libri di altre culture, di altre letterature. E’ una domanda. Parks risponde: no. “Ma non è vero – scrive – l’opposto. I lettori statunitensi e britannici non sono sommersi dai testi stranieri e, forse con l’unica eccezione dei gialli, mostrano grande resistenza alle minuzie dei paesi di cui sanno poco”. Erich Auerbach, a proposito, avrebbe avuto ragione in più per dire, prefigurando senza saperlo: “ Per mille ragioni, che tutti conosciamo, la vita degli uomini su tutto il nostro pianeta si sta uniformando”. Mille ragioni e una ancora. Non è la stessa roba di cui congettura Goethe quando scrive: “Io intravedo l’aurora d’una Letteratura Europea: nessuno fra i popoli potrà dirla propria; tutti avranno contribuito a fondarla”. Mentre forse, in realtà, Parks si sta domandando se (come nel caso, ad esempio, della nostra Francesca Marciano) non sia il caso di scrivere direttamente nella lingua di questa letteratura mondiale (poco o nulla goethiana). Sciogliendo i piani della traduzione e dell’adattamento. Rimestando sul fatto che forse ha così poco senso “welt” leggere i nostri scrittori (e soprattutto farli tradurre e/o farli conoscere fuori dai nostri “borders”). O forse no e se no cosa chiediamo e perché alla penna dei nostri autori. Di tracciare una linea che strabordi il nostro piccolo “welt”? Pensando – ancora una volta è un esempio – quanto gli ultimi cinque insigniti dal premio Strega siano indubbiamente portatori di una letteratura molto “italiana”. Che la nostra classifica “Narrativa italiana” metta insieme ai primi posti degli esempi di innegabile “confinamento”, di indiscutibile “giallismo” (e ritorniamo a Parks che forse voleva sottolineare come il lettore britannico è disposto a viaggiare fuori di sé solo partendo e chiedendo da/a una trama non “anglosassone” di essere di definitivo impatto escatologico come solo il noir sa essere). In tutto ciò di goethiano c'è davvero poco. Mentre di globalizzato c'è sempre di più.
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