Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 19/02/2009 @ 10:13:25, in diario, linkato 1538 volte)
Arcobaleno sull'Ikea (fotoracconto su www.accattone.org)
La didascalia della foto dice semplicemente “arcobaleno sull’Ikea” come se fosse una cartolina. Chi l’ha scattata sostiene non trattarsi di advertising. Nega sia stata scattata in un giorno di offerte speciali, contesta trattarsi di un’elaborazione di luci per attrarre l’attenzione dei passanti sul supermercato della casa. Chi l’ha scattata e me l’ha inviata sostiene che l’immagine rivelerebbe uno stato altro dell’essere e che anzi "essere", in definitiva, non sia proprio il termine della questione. Piuttosto qualcosa come un piccolo miracolo, un segno di attenzione ulteriore. Nella mail, in cui questo tipo esprimeva il desiderio di incontrarmi, mi spiegava che era a conoscenza di un fatto che riguardava la foto ma che non poteva scriverlo né dirlo al telefono. Ci dovevamo incontrare. “Ci vogliono far capire qualcosa” mi ha detto quando ci siamo visti. “Loro, loro” ripeteva sempre questo “loro” e mi guardava come per essere certo che avevo capito a chi si riferiva “loro vogliono far sapere che ci sono. Ci stanno mandando dei segnali. Vogliono che noi sappiamo che stanno qua sopra. E’ questo il luogo che hanno scelto per esprimersi, per far sapere la loro verità”. Ma perché questo? Perché avrebbero scelto la succursale tuscolana di questo marchio svedese? Ammiccava, sottintendeva ma non una risposta chiara. Mi ha spiegato un certo gioco di lettere anagrammando il nome di alcuni prodotti in vendita nel magazzino. Ogni lettera si leggeva, attraverso una serie numerica che aveva scoperto, come un'altra lettera. Le lettere componevano nuove parole in latino e greco: una in latino e due in greco, due in latino e una in greco. L’esito della sciarada era un messaggio che ho fatto l’errore di non trascrivere e che ora non ricordo. Ormai il patto della verità si era infranto e non credevo più una parola di quello che mi diceva. Ma ho fatto male. Ora non posso dire di sapere di questa verità ulteriore e sull’Ikea mi è rimasta l’ombra sinistra di uno sguardo dall’alto che ci sorveglia, ci monitora, ci studia. E’ come se non riuscissi più a guardare serenamente un set di piatti, ad aprire i cassetti di un mobile, spalancare le ante di un armadio, sedere su un divano e provarne la resistenza senza sentire il brivido di un aldilà, per quanto colorato.
www.accattone.org/PA/web/content.php?cid=372
Di Carvelli (del 20/02/2009 @ 10:29:41, in diario, linkato 2587 volte)
Plazoleta Julio Cortazar a Palermo (Buenos Aires) mesi fa, caldo fa...
Incarico (Julio Cortazar)
Non darmi tregua, non perdonarmi mai Pestami a sangue, che ogni cosa crudele sia tu che ritorni. Non lasciarmi dormire, non darmi pace ! Allora otterrò il mio regno, nascerò lentamente. Non smarrirmi come un motivetto facile, non essere carezza ne guanto; Intagliami come una selce, fammi disperare. Difendi il tuo amore umano, il tuo sorriso, i tuoi capelli. Donali. Vieni a me con la tua collera secca di fosforo e squame. Grida. Vomitami sabbia in bocca, rompimi le fauci. Non mi importa ignorarti in pieno giorno, sapere che giochi faccia al sole, a viso aperto. Condividilo.
Io ti chiedo la cerimonia crudele del taglio, quello che nessuno ti chiede: le spine fino all’osso. Strappami questo volto infame, obbligami a gridare finalmente il mio vero nome.
(traduzione: Federico Guerrini)
Encargo
No me des tregua, no me perdones nunca. Hostígame en la sangre, que cada cosa cruel sea tú que vuelves. ¡No me dejes dormir, no me des paz! Entonces ganaré mi reino, naceré lentamente. No me pierdas como una música fácil, no seas caricia ni guante; tállame como un sílex, desespérame. Guarda tu amor humano, tu sonrisa, tu pelo. Dálos. Ven a mí con tu cólera seca de fósforo y escamas. Grita. Vomítame arena en la boca, rómpeme las fauces. No me importa ignorarte en pleno día, saber que juegas cara al sol y al hombre. Compártelo.
Yo te pido la cruel ceremonia del tajo, lo que nadie te pide: las espinas hasta el hueso. Arráncame esta cara infame, oblígame a gritar al fin mi verdadero nombre.
París, 1951/1952
Dalla raccolta: “Salvo el crepúsculo”, Buenos Aires, Ed. Alfaguara, 1996
Di Carvelli (del 24/02/2009 @ 16:15:04, in diario, linkato 1333 volte)
Oriente partenopeo
Il fatto è che da due settimane appena tocco il freno della vespa esso fischia. Il che non a tutti dà brividi di velocità. E finisce per essere, insomma, inopportuno. Ai semafori, alle curve, nel traffico. Ho provato a farlo rivedere al meccanico ma la risposta è stata: "Freno che fischia, freno che frena". Mi sono fatto domande interiori sull'opportunità dei proverbi e ho concluso che non sempre avere un motto pronto all'uso per qualcosa aiuta a semplificare le cose, pur rendendole di fatto più semplici.
Un mio racconto horror o horror vacui? Magico (real magic), mefistofelico, fiabesco, citazionista, brutale o semplicemente bruto se non addirittura brutto? Un racconto: in websitehorror il sito di annunci letterari di Marco Candida. Si intitola La manina di Dio.
www.websitehorror.com/index.php?content=website_horror&id=29;
Distrazione e guano, foto-racconto su accattone.org
www.accattone.org/PA/web/content.php?cid=401
Ordinanza n. ---
L’Autorità
premesso che l’EUR è zona di grande scorrimento e in ispecie l’anello circondariale del Palazzo dell’Eur ora PalaLottomatica è da ritenersi punto nevralgico del traffico e a rischio di incidenti vieppiù nelle ore serali;
premesso che già con note precedenti – i cui numeri non vengono qui richiamati – era già stato fatto divieto ai volatili di specie storni (Sturnus vulgaris) di manifestare nella zona in questione producendo distrazione e guano;
considerato inoltre che l’orario di apertura delle attività serali del suddetto PalaLottomatica coincide con quelli della presenza di detti uccelli;
considerato che l’adozione delle precedenti Ordinanze è stata disattesa dai medesimi;
attesa l’opportunità, al fine di garantire la tutela del diritto alla quiete e alla sanità della popolazione nelle ore in questione, di disporre una specifica regolamentazione;
attesa inoltre la necessità di preservare raccolti e piantagioni limitrofe all’area;
verificato che la mancanza di regolamentazione è frutto di nuovi disagi per la circolazione e per i cittadini e che nulli sono risultati i precedenti tentativi di sensibilizzazione allo spostamento di detto gruppo di volatili (grida di uno storno attaccato da un rapace o colpi di carabina registrati e riprodotti da altoparlante, azioni di falconeria, dispositivi di cannoneggiamento ad aria compressa, mescola di anticoncezionali nei mangimi);
ritenuto altresì che la specie in questione non è da ritenersi a rischio estinzione;
Tutto ciò premesso e richiamato
ORDINA
- a codesti volatili di migrare volontariamente o svolgere le loro evoluzioni artistico-aeree in altro loco discosto dal detto tratto di strada per non creare ostacolo al traffico delle automobili e nocumento ai passanti. I contravventori saranno multati e obbligati al rimpatrio forzato nell’areale di provenienza di ciascuno storno.
Oggi la gente sta con delle facce pensierose. Fanno su e giù sul marciapiede, imboccano le discese della metro, e hanno visi contratti, corrucciati, perplessi. Chissà a cosa pensano. Io mi dico Luca e Paola si amano. Luca e Paola si amano. Luca e Paola si amano. Ma sono due nomi a caso. In effetti, con conosco una coppia con questi nomi. Ma li ripeto come se fosse una promessa. Qui o altrove. A Milano? A Bologna? Luca e Paola si amano. Da qualche parte. Luca e Paola si amano. E la gente oggi - almeno davanti a me - ha la faccia perplessa. Chissà a cosa stanno pensando.
Di Carvelli (del 17/03/2009 @ 11:35:28, in diario, linkato 1422 volte)
Gli specchi di un'anima tormentata di Roberto Carvelli
«ValeANA» (Elliot edizioni, 117 pagine, 12,50 euro) è il libro di esordio di Martita Fardin , scrittrice di Como che per parecchi anni ha abitato a Trento (collaborando anche con le pagine culturali dell' Adige ), prima di fare ritorno sulle rive del lago manzoniano. Frasi di cruda e scarna adesione al vero doloroso che disegnano la storia di Vale, spirito inquieto che si dibatte tra il mondo della moda famigliare e la solitudine esistenziale attenuata dall'amicizia delle amiche e una storia d'amore (tra le pagine più riuscite del libro) con un musicista austriaco malato di tumore al seno. Tra sms e autoracconto la vita di una diciottenne alle prese con il dramma dell'anoressia. Martita Fardin costruisce una sorta di giallo esistenziale che si risolve però all'interno. «Quod me nutrit me destruit» è l'esergo della quarta di copertina, motto che chiude e apre la vita di chi si ama filiforme fino al rischio della evanescenza. Abbiamo intervistato l'autrice. Il libro ha una scrittura piana, diretta, dichiarativa. Racconta fatti chiamando le cose con semplicità. Ci sono le marche che ormai suggeriscono (sostituiscono) i nomi degli oggetti, un po' di slang ma contenuto. È la voce di una diciottenne: in che misura quelli che ho detto sono tratti distintivi della voce della protagonista e si discostano dal suo sentire? «Amo la semplicità nella scrittura. Volevo che il libro si infilasse come un fiore o un ago nella mente del lettore. Per quanto riguarda le marche e gli oggetti, direi che ho chiamato semplicemente le cose con il proprio nome». L'anoressia ha un ruolo fondamentale. A tratti il libro vira addirittura verso l'inchiesta o quasi, chiamando a raccolta blog, testimonianze, community. Può parlare del lavoro che ha fatto per aprire a questo underground di chi soffre per questo disturbo psicoalimentare? Ed è veritiero o comune che ci sia un senso di appartenenza e condivisione tra chi ne soffre? «Questo libro è quanto di più lontano da un'inchiesta. È la storia di un'anima, come direbbe Leopardi. L'anima di Vale, e anche un po' la mia». Un mondo, quello comasco, e un ambiente, la moda. Party fastosi, soldi a pioggia: è esplicito o implicito o è solo simbolico che l'anoressia sia la malattia del rifiuto di un'abbondanza a tratti strabordante? «Ogni evento, ogni scenario, acquista nella storia un che di simbolico, come se tutto avesse un senso evidente e uno nascosto. Almeno, io ho lavorato in questo senso». Nelle prime pagine (ma anche altrove) si tende a creare un nesso culturale-spirituale che vede il difficile rapporto col cibo come un portato ereditario della mediazione della fede... «Posso solo dire che io volevo descrivere un interno di famiglia. Dove ci sono persone che si muovono sotto l'ombra rassicurante e tremenda di un crocefisso di legno». Proprio per quel che è stato detto prima si potrebbe pensare che il suo sia più un libro su delle testimonianze, a tema o a tesi. Ha già scritto altro? Ha in mente altro da scrivere? Ha autori di riferimento a cui si ispira? Quale crede che debba essere la funzione della letteratura? «Rifiuto fermamente questa definizione. Il mio non è affatto un libro a tesi. Questo è il mio primo, romanzo, forse ne verranno altri, forse no. Se ci penso, nella mia testa ho sempre scritto. Mi piace Agota Kristof. Una volta lei ha detto che per la sua scrittura si è ispirata ai temi dei suoi figli. Ecco, mi piacerebbe scrivere come un bambino di terza elementare. Una scrittura semplice, elementare, onesta. La funzione della letteratura? Scacciare la morte, tenerla lontana, anche per pochi istanti. Che altro?».
l'Adige 15/03/2009
Di Carvelli (del 18/03/2009 @ 08:52:57, in diario, linkato 1298 volte)
Di Carvelli (del 19/03/2009 @ 09:14:44, in diario, linkato 1172 volte)
La scuola al tramonto di roberto carvelli
Si sta come sui banchi gli studenti. Ed è subito maturità. Poi tu lavori o continui a studiare: quello che capita coi soldi che c’hai. Con quelli che ti danno o che hai messo da parte coi regali delle comunioni, delle cresime – ecco il vantaggio competitivo della fede sull’ateismo – o con i regali dei compleanni, quelli della maturità. E invecchi. Tu e pure la scuola. E sì, pure la scuola invecchia. Specie se è pubblica. Si scrosta l’intonaco come la pelle di chi è stato al mare, al sole per troppo tempo, con o senza protezioni, e rimane lì a prendere altro sole. Ma, Gli dispiace, i soldi non ci sono. E aspetta, la scuola. E pure tu che ci passi davanti aspetti di vederla come te la ricordavi. Senza quelle screpolature. Ma non succede. E passano gli anni. Anni di transenne, di ingressi laterali, di messe in sicurezza come dicono. Ma la scuola: sempre al sole. L’eritema si allarga, i professori e i presidi protestano. Inutilmente. I genitori manifestano, gli studenti scioperano. Senza risultato. E tu lavori e invecchi sotto il sole e sotto la pioggia. E passi dalla Tuscolana e ti chiedi. Era rossa? La scuola era davvero rossa anni fa? Ma mentre ti fai questa domanda l’ustione continua ad allargarsi. La domanda ora è: la chiazza si allarga, o sbaglio? Ma la risposta si misura con il perimetro delle transenne e del nastro california. L’effetto caldo-freddo, pioggia-sole allarga la desquamazione e la scuola rischia di diventare bianca da rossa che era. Si nota di più ora che è il tramonto. Ma l’effetto non è positivo. Bianca o rossa che sia, bianca o rossa che fosse la tua scuola, quella istituzione inalienabile, sacra, inossidabile non ti sembra più tale. Quel partenone dei tuoi sette anni non ha neppure lontanamente quella solidità che pareva avere allora. E non ti vengano a dire che è un problema di prospettive o di memoria.
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