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La lunga lista delle cose rimandate inizia con la parola "prete". Gli chiedo cosa significhi. Cosa abbia rimandato a quel proposito. Forse una messa da far dire? Qualcosa in relazione a una funzione di altro tipo? Magari anche un funerale. Lui dice che non ricorda. Che un giorno si è segnato "prete" e ora non sa perché. Poi si adombra e dice "da piccolo volevo fare il prete". Forse, dice, lo voglio fare ancora. Ma ha quasi settant'anni.
Di Carvelli (del 10/12/2014 @ 18:26:39, in diario, linkato 1044 volte)
Il Grande Accusatore - da ora in poi IGA - fu consultato una sola volta. Parlò in modo che da molti fu definito confuso. Qualcuno lo considerò inattendibile - ma non era questa l'aggettivazione che ci si sarebbe attesi da un'autorità inquirente così fu ritenuto un commento inattendibile. Se ci pensate questa storia manifesta da subito sovrapposizioni e incongruenze. La più marcata di tutte è che IGA era nella realtà l'inquisitore anche se veniva inquisito. IGA parlava, rispondeva, ma nel farlo accusava. Era alla sbarra ma la sua voce metteva alle sbarra altri. Insomma, IGA era chi condannava per difendersi. Questo strano concorso di colpe non faceva bene a nessuno eppure si perpetuava in questa forma. Una forma funzionale al sistema di sofferenza che era allora imperante. Un sistema che, semplificando, prevede che chi deve difendersi deve necessariamente accusare. Non importa chi e perché accusi. Non conta se a ragione o a torto. Deve. IGA lo fece. Ma lo fece in una maniera incongrua. Una maniera che lasciò tutto uguale e, anzi, complicò le cose. Non fu un bel vedere. O, meglio, un bel sentire per gli inquirenti. Da qui il tanto parlare che se ne fece. Anche se mai fu detto quel che davvero doveva essere detto. Ovvero che IGA fece l'unica cosa che non doveva essere fatta. L'unica cosa che il sistema non era organizzato a tollerare. IGA si autoaccusò.
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