facciamo il gioco che siamo amanti e siamo fuori dalla terra
allo stato di cose
e chiamiamo a gran voce – o primizia di marzo
che rovescia catene, oro – così servi
poi abbassiamo la testa fino al suolo
riconosci dal torcimento nero della juta in una semplice pecca
muschiosa la mia voce, il corpo
in un astuccio di metallo, le chele
in disarmo sui fianchi come una flessa dotazione di ali
sottomarine, il leggero del corpo sostenuto per forme di vela
dall'acqua
mobilissima dell'ossatura: quello
che esistendo sporge dal suo esistere – la melagrana
seminata dalla manciata nana di gennaio – la stasi del mio
cuore
che si lascia esplorare dalla pietà del tuo dito sotto la canfora
delle vesti
(...)