Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Gli spigoli delle porte, quasi tutti i fornai, i commessi dei grandi magazzini di bricolage, i cani degli amici o amiche. Questi mi vogliono bene. Meno le moto, i pedoni, i guidatori degli autobus, un po' di più i tassisti. Molto le ragazze degli amici, le buche, i coltelli, il kebab. Non mi vogliono bene la televisione, le discoteche e i negozi di dischi. Neppure i negozi di abbigliamento, l'acqua e le fermate dei bus.
Di Carvelli (del 17/10/2006 @ 15:36:54, in diario, linkato 1126 volte)
Queste immagini vengono da MondoBizzarro la bella galleria romana che ha ospitato quest'artista un po' retro e surreale che risponde al nome di Gilles Berquet. Qui notizie su di lui.
Di Carvelli (del 16/10/2006 @ 09:33:16, in diario, linkato 1096 volte)
Ho chiesto a google di dirmi la sua sul silenzio. In immagini. E la prima delle sue foto è questa.
di Linda Mercaldo (altre foto qui). Tradisco la mia natura cimiteriale e mi riprometto di dare a questo finesettimana il silenzio delle tombe. Considerando come un segno la mia richiesta di pace. Magari solo per un'ora.
E' come rievocare un istante preciso. Solo quello. Quello, per esempio dell'inizio del popmart tour degli U2, con Pop Muzik degli M in versioone MoFo. Eravamo all'aeroporto dell'urbe. Una fila sterminata di motorini in processione sulla Salaria (un luogo che mi è fantasiosamente familiare per Bebo). Non era chiaro in che direzione si stava andando. Per dove ci saremmo persi con quelle due ruote. In mezzo ai capannoni, alle rivendite di auto. Su una pista di atterraggio. Io e...Marco no? E dopo? Eravamo contenti? Sorpresi? Stupiti? Boh ma ora se rivedo quell'inizio mi entusiasmo di ricordi.
C'è stata una stagione. Chitarre. Tastiere. C'è stata una stagione di completi neri, di cravatte di cuoio. Nere. Di giubbotti. Neri. Il chiodo. Nero. Di concerti in tende a strisce. Di attese interminabilie di dischi d'importazione. C'è stata una stagione che oggi non c'è più. Un tempo in mezzo. Una distanza che basta bucare una leggera tenda trasparente ed è di nuovo qui.
Di Carvelli (del 10/10/2006 @ 16:16:13, in diario, linkato 1002 volte)
Abbiamo un appuntamento costante: le indagini sul sessoe gli italiani, le italiane. L'iconografia chissà perché è sempre la stessa. Un uomoe una donna seduti l'uno da un lato e l'altro dall'altro del letto che guardano persi nel vuoto e nervosi. Chissà perché è questa la rappresentazione del poco sesso degli/delle italiani/e
Con che faccia arrivano a Roma. Alla spicciolata (i primi a scendere dal treno). Poi tutti insieme (gli altri). A massa di lana che spinge. A piccoli passetti e "scusa". Sono all'altezza dei loro visi da un treno parallelo che guardo questo passaggio di mille espressioni e mille posture. Come in un televisore, nel finestrino osservo i loro primi piani. Non posso vedere la figura intera, il passo. Non posso vedere come il corpo affronti la strada. Mi limito ad osservare le braccia conserte, le mani che spiegano. Addirittura una ragazza che parla il linguaggio dei sordi ad un uomo e ne rallenta il passo. Poi facce torve, facce del sonno, facce della rabbia e della rassegnazione. Poi facce distratte o calme o vacanziere. E' il treno che viene da Albano.
Non ci veniva la parola poi l'hai detta tu. Flash-forward. Cioè anticipazione. Cioè l'opposto del flash-back. Cioè quel procedimento filmico o narrativo che consiste nel narrare prima ciò che avverrà in seguito. Non ci veniva la parola ma già sapevamo cosa volevamo dire. Cosa le cose volevano dire per noi. Cioè che spesso qualcosa anticipa qualcos'altro. Lo predice. E lo fa con un'immagine. Niente di più e niente di meno di questo. L'immagine che ci aveva preceduto era stata nelle nostre teste prima che ci conoscessimo. Ed era stata simile e ci aveva riguardato. Insieme ma senza che nessuno sapesse dell'altro e alla fine... E alla fine era andata proprio in quel modo e non potevamo non pensare che se dopo le cose erano andate così il merito...O la colpa...erano stati proprio di quella...e non ci veniva la parola.
E' come spegnere le candeline.Venti per quasi quarant'anni e c'è un errore - è chiaro. E' come avere un malditesta fisso. E' come essere lì ma voler essere altrove e poi di nuovo voler essere lì che già ci sei. E' come se, tutto sommato, morire ogni due o tre giorni o mesi, due o tre anni, ogni tanto... E' come se, in fin dei conti, morire non fosse poi così male se si rinizia e nulla finisce. E nulla finisce, anche se si guardano bene dall'insegnarcelo, dal ricordarcelo (perché vuoi mettere quante cazzate - sentite, volute, desiderate - in più faremmo, con leggerezza). E' mattina e sono in moto. Attraverso per intero Roma. Sono su via Aurelia Antica - un muro di qua e uno di là - e vado a lavoro. All'improvviso mi trovo davanti un carro funebre nero (ovvio no!) con dentro una bara bianca. Dietro nessuno. Provo a capire le dimensioni del corpo dentro ma da dietro non capisco e mi affianco. Vorrei stendermi per confrontarmi. Che sarà, un metro? Poco più. Sorpasso. Guardo nello specchietto retrovisore. Dietro di me il carro funebre con la bara bianca e dietro nessuno.
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