Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 08/08/2007 @ 16:37:44, in diario, linkato 1040 volte)
Fa bene, sì che fa bene. Leggo Repubblica anche per seguire le avventure di Paolo Rumiz che se anche non funzionano come negli anni precedenti (troppo imprigionate in un plot ingessato che già dopo qualche puntata tradisce "stanca") sono sempre una gran scuola di scrittura guitta e di sorprese. Ma fa bene leggere il gionale e sulla scorta di un articolo di Piero Citati andarsi a leggere quel supremo e bellissimo racconto di Truman Capote dal titolo Un ricordo di Natale. La storia di un'amicizia scostata di anni - mai letto un racconto così bello sul tema dell'amicizia con differenza d'età (mi vien alla mente spesso Murakami che predilige questi salti) - una storia scoppiettante e folle di tenerezza. Qualcosa che poi alla fine ti esplode contro come un'onda calda dopo troppe stagioni di freddo interiore ed esteriore. In definitiva una specie di balsamo e la prova che il mondo visto dai bambini è più mondo del mondo visto dagli adulti. Se gli adulti lo vedono il mondo, tante volte pare pure di no. Insomma tornare bambini si deve e Truman Capote è stato il complice migliore che si potesse trovare in una giornata cosìe per lui Citati. C'è sempre tanto da fare coi libri. Nei libri, meglio. Tanto, davvero. Bisogna ricordarsene ogni tanto noi che coi libri ci facciamo troppo. Un troppo che spesso non serve. Uso improprio di libri: esisterà un crimine siffatto?
Ora che Roma ha più bisogno di compagnia sono qui a preservare questa pace, a sovvertire i tempi di percorrenza, a contare quello che non si potrebbe (per fretta, foga e clacson). Sono per essere. Nessun caso (sì forse uno sì ma a ricordare che il caso non esiste o non è di solo caso la sua composizione). Sto qui per bene. Con tutte le scarpe e le ruote della moto. Un piccolo istinto di protezione, il senso di responsabilità di non lasciare sola la città come se fosse un cane o un gatto. Agosto.
Se c'è una sciagura (nel mondo) scrivono e parlano di "disastro" ma se c'è un italiano, anche lo straccio di un cognome che suona italiano, si iniziano a rincorrere furiose le notizie. Salvo poi scoprire che non viveva in Italia da anni e che in pratica era naturalizzato qualche altro paese. Se c'è un disastro non è mai veramente disastro se non ci sono italiani, un paese in cui inviare un inviato a chiedere quanto erano bravi, che spirito patriottico!, che senso civico!, che dedizione agli altri! e che fede! Se muore oh mioddio dei giornalisti fa che sia italiano e che sia una brava persona. Non un delinquente, non un buonannulla, uno scansafatiche, un ubriacone, o una donnaccia. Ti prego dio dei giornalisti. Ah scusa, se è possibile me lo fai nascere in un paese del sud, uno di quelli tuttapovertà e la dura legge della sopravvivenza? E poi me lo iscrivi ad un'associazione ambientalista? Un'ultima cosa puoi fargli un papà spigliato e che piange e una mamma che grida? Basta così. Grazie.
Esco e tu sei lì. Mi dai le spalle. Mi senti ma non ti giri. Ti cammino dietro, faccio rumore e non ti muovi. Esco e tu sei lì. Nella tua massa di pelo grigio, nel tuo passo incerto che poi saprò essere il passo della fine. E così la tua fine è questa. Come la fine di tanti. Sulla soglia di una guerra che hai combattuto da solo. Un soldato semplice della guerra alle tagliole, alle trappole, alle colle, ai veleni. Ci separiamo così - tu che scendi a fatica sotto il marciapiede e io che chiudo il cancello e me ne vado - e chissà se avrà avuto un senso essersi conosciuti, guardati negli occhi. Questa mattina (la mattina della tua fine) e poi mai più.
Devo avvicinarmi? Sì ma non troppo ...Perché? Perché da vicino gli oggetti risultano meno visibili. Ma sono più visibili i particolari. Sì ma è l'insieme che conta. Quindi per te i particolari non contano. Non l'ho detto....Ho capito che non ti va di parlare
"Non cado e se cado mi rialzo". Devi pensare così. Ma come faccio a dirtelo? Come ti fai convincere? Spiegami. Dammi una strada. Prova solo a dirlo. Non è che ti voglio far fare la figura dello scemo - solo davanti allo specchio a dirti delle cose incoraggianti. Non lo fare, allora. Dittelo a mente. Cerca di pensarlo. Forse non servirà neanche questo ma che hai da perdere?
Sportivo era la frase con cui Capannelle (al secolo Carlo Pisacane, l'attore) definiva il suo abbigliamento: pantaloni alla zuava e (mi sembra) camicia a scacchi. Altri tempi. Oggi (oggi che scrivoe in generale) può accadere di incontrare persone di una certa età (dai settanta in sù) che deposte giacche e cravatte di prammatica (in tutte le classi sociali una volta) preferiscono indossare magliette di squadre di calcio. Mi fa ancora un po' di effetto. E l'effetto è un misto di palio dei buffi e rimediatezza (si dirà?!). Mai penso "sportivo" con quell'accento emiliano che a Capannelle inventò addosso Monicelli.
|