Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Come eravamo qualche anno fa? Di che parlavamo? Quali gusti avevamo? Che ci facevamo mettere sul cono? E cosa chiediamo ora? I desideri che abbiamo. I libri che leggiamo. I CD che compriamo. le cose che ci emozionano. Le stesse di prima? Chissà. Chissà se allora come oggi guardiamo questa zona vuota a cui non sappiamo dare un nome con quel piccolo brivido che sconcerta mentre da qualche altra parte qualcun altro prova la stessa vertigine?
Per non smentirmi ecco che cito dal racconto di cui dicevo ieri, superbo, di Mavis Gallant dal neo-tradotto Un fiore sconosciuto. Il racconto si chiama L'altra Parigi. Vi presento Howard e Carol una coppia appena costituita fuori dalla loro America nelle brume transalpine. Credo che possano insegnare qualcosa pur non rendendosene conto e non insegnandolo a loro stessi. Come la vita. Che spesso insegna solo vista da fuori.
“Il fatto di non essere innamorata di Howard Mitchell non provocava a Carol il minimo sgomento. Da una serie di utili lezioni scolastiche sul matrimonio aveva imparato che un interesse comune, come ad esempio la predilezione per i setter irlandesi, costituiva la vera base per la felicità, e che l’illusione dell’amore era un flagello imposto dall’industria cinematografica, oltre a essere quasi interamente responsabile dell’alta percentuale di divorzi. Situazioni economiche simili, stabilità finanziaria, appartenenza allo stesso credo religioso – erano questi i pilastri dell’unione matrimoniale”.
E più avanti…
“Carol, con grande efficienza, affrontò quasi all’istante la questione dell’innamoramento. L’amore non richiedeva altro che le condizioni giuste, come una pianta di geranio. (…) Per tutto l’inverno, dunque, cercò queste condizioni a Parigi. Quando, in un primo momento, non accadde nulla, Carol diede la colpa al clima. Era spesso convinta che si sarebbe perdutamente innamorata di Howard se solo avesse smesso di piovere. Attese, imperterrita, tempi migliori”.
Il fatto è questo: l'idealismo non fa bene. E il fatto è semplice. Voglio dire, una di quelle cose chiare che però non puoi spiegare. Ci provi e non riesci. Il fatto che non si può spiegare è la differenza tra "vivere di idee" (ho scritto "vivere"!) o perdersi dietro ad esse. Sì bisogna inseguire i propri sogni. Sì bisogna arrivare fino alla fine di tutto quello che desideriamo. Ma quale è la fine? Quale la linea al di là della quale l'idea è idealismo? Come una piccola malattia della nostra inettitudine, del nostro non voler concludere concretizzare, non voler crescere non volerci misurare con la concretezza sporca di quello che siamo davvero fuori da quella bella bolla vuota. A un certo punto la canzone dice "tanto io capisco soltanto il tatto delle tue mani".
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Non è un fatto sbagliato mangiare more formaggio e caffè per colazione. Neppure leggere sotto il sole. Neppure stare ore a osservare una cicatrice. Forse è un buon consiglio "non farsi notare". La gente è gelosa delle proprie cicatrici. Anche di quelle interiori spesse volte. Sono stato da qui a lì. Un po' rischiando, un po' salvandomi. L'ape è entrata nel casco, ha punto ed è morta. Forse dovremmo imparare dall'ape: l'ultimo gesto deve essere disperato e definitivo. Forse solo così la morte non brucia. Un piccolo suicidio che nasconde la forza del caso. Riusciremo? Compro e leggo il nuovo libro tradotto di Mavis Gallant. Lo compro sotto un sole accecante, costretto alla solita attesa che il sigaro sfumi. E' sabato. Prendo un caffè in centro. Mi siedo ai tavolini. fa un caldo allucinante. Un quarto d'ora. Persino il cameriere ha rinunciato. Prendo esempio. Entro e lo prendo al banco. Il mare fa forte: onde e vento. Faccio una promessa. Mantengo sempre le promesse, mi fa bene. E, dunque, ne faccio un'altra. Che mi porti un po' più in là. Il racconto di Mavis Gallant è bellissimo. Ne parlo diffusamente domani. Mi spiace non aver letto ancora tutto. Solo tre libri tradotti. Forse dovrei sforzarmi di più di leggere in originale. Si chiama L'altra Parigi. E' la storia di un matrimonio. Ma che dico: è la storia di un amore. Neppure. E' la storia di una di quelle cose che somigliano a quelle che ho detto, si presentano nella stessa combinazione di senso ma nulla hanno a che fare con le dette parole. Le cose speso sono così, senza parole.
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Di Carvelli (del 10/07/2009 @ 15:44:35, in diario, linkato 1175 volte)
Rubo queste tre poesie di Barbara Coacci da il primo amore.
Bucato, pioggia, cantiere
Barbara Coacci
Bucato C'erano cose poco importanti il bucato ad esempio dimenticato a lungo sul balcone la camicia da notte sbatteva i polsi contro la ringhiera insidiata dal vento più che dalle tue mani è stato il rumore a farci impazzire come la sera il nulla fa impazzire i cani Pioggia Muri di gelatina dietro ai vetri linee di gronda per il deflusso intorno ai palazzi. Dai tetti mollicci un'acqua sporca che glassa le strade le fughe tronche dei vicoli il ronzio dei frigoriferi del famigliare Cantiere (II) Bordi di lamiere dove il sole si rovescia improvviso cedere dell'occhio per un lampo inaspettato un cielo turchese espande la sete oltre il recinto del cantiere qui una volta ho baciato un fidanzato ridevamo forte nella stessa luce
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Da Nessuna nuova, edizioni La Camera Verde, 2009.
www.ilprimoamore.com
"La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa". La frase è di Karl Marx - avete presente? Quel signore barbuto di cui tutti si vergognano di essere stati amici anni fa? No, non Dio, Marx. Come dite? Più o meno... Bando agli scherzi mai ho trovato frase più profetica. Coem se fosse una formula matematica da applicare a tutto. L'unica incognita è sempre in quale delle due fasi ci troviamo. Visto che c'è chi ride delle disgrazie e chi non ha nessun senso dell'umorismo. Come sia: la storia si ripete e il resto non è bello.
Come mi chiama il vento io vado. Come il sole. Come. Sapevo già tutto prima. Che povero vantaggio! So tutto da prima. Lo so, lo sapevo anche se faccio finta di nulla. E come mi chiama il vento io vado. Ché ci si chiede di passare. Passare e basta. Questo siamo. Questo sei. Non sono cosa, diceva. Altro sono. E come mi chiama il vento vado. Che poi ritorno.
Dimmi la parola, Roberto, che voglio sentire. Usa le lettere che vuoi ma ti prego combinale per farmi felice. Ti scongiuro. Metti ordine in questa confusione, leva tutto questo sole. Fai piovere su di me un'acqua leggera che spenga l'incendio. Di' il mio nome nel vuoto e dopo riempilo della tua presenza. Lascia agli altri le magie coi trucchi. Dammi la malìa, dammi la vita. Solo così sarò vita. Solo così sarò viva. Ti prego, Roberto. Ti prego.
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