Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ho fatto tutto due volte partire e tornare prendere e lasciare, per non sbagliare, per essere sicuro di aver fatto bene. Ho fatto tutto due volte. L'ho fatto per fare, senza convinzione. L'ho fatto come è giusto fare per essere quello che non puoi rimproverare: di non tentare di non credere. Due volte è il modo giusto di abbandonare. Una volta per me, una per te, l'altra per chi verrà. E fanno tre, ma lo sai che non so contare.
Senza bussola Secondo Darwin avrei dovuto essere eliminato secondo Malthus neppure essere nato secondo Lombroso finirò comunque male e non sto a dire di Marx, io, petit bourgeois scappare, dunque, scappare in avanti in indietro di fianco (così nel quaranta quando tutti) ma permangono personali perplessità sono ad est della mia ferita o a sud della mia morte?
Luciano Erba
Prendendo spunto dalla nuova canzone di Dalla con Servillo, Fiuto, vi linko un saggio di Andrea Severi su un racconto poco conosciuto di Italo Calvino dal titolo La poubelle agréée. Scrive Calvino: Delle faccende domestiche, l’unica che io disimpegni con qualche competenza e soddisfazione è quella di mettere fuori l’immondizia. L’operazione si divide in varie fasi: prelievo della pattumiera di cucina e suo svuotamento nel recipiente più grande che sta nel garage, poi trasporto del detto recipiente sul marciapiede fuori della porta di casa, dove verrà raccolto dagli spazzini e vuotato a sua volta nel loro autocarro". www.griseldaonline.it/percorsi/6severi.htm
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E' sabato. Saranno le 7 e mezza o forse le 8 meno un quarto. E sto uscendo dal giardino di casa in bicicletta. Fuori, sul marciapiede a grandi numeri qualche bambino ha disegnato una campana enorme. Come questa più o meno.
I gessetti sono bianchi e gialli. I numeri non sono perfetti ma grandissimi. Sorrido. Sembra quasi un regalo. Proprio di fronte al mio cancello, al mio campanello senza nome, alla mia buca delle lettere. Numeri. Occupano tutta la fascia del marciapiede. Comincio a pedalare. Accendo l'I-pod. C'è questa canzone.
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The colours run away as the sun fades the day I find it so hard to find the right words to say I know that when I have to leave and close it all down I'm losing everything that you have made me
Fa già un po' caldo. Incontro poca gente. Ma c'è quella strana sensazione di anticipo. Fra poco da queste case usciranno persone. Da tutto questo cemento fra un po' qualcosa. Lavoro? Fare la spesa? Continuo a pedalare. Ora sono solo in mezzo al verde. Deve essere parecchio che non passa nessuno. Il sentiero è segnato ma è stato invaso da rami di rovo che devo schivare con molta attenzione. Un cane abbaia. Esce la catena della bici. La rimetto. Ora è cambiata canzone. Questa.
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Pedalo un po' più forte. A fianco mi scorre immobile e antica la magnificenza delle antichità romane piene di tag, firme, erbacce. Pedalo e sudo. Penso che dovrei guardare l'ora ma non lo faccio. Smetto quando sono stanco, mi dico. Pedalo ancora. Qualcuno/a sta correndo qui a fianco. Ripenso all'altra sera. Troppo complicato da dire: penso ora e penso mentre pedalo. Ma il concetto è - per grandi linee - che le cose sono le cose. Che non è un grande concetto ma rende l'idea. Mi guardo a destra. E non c'è nulla di particolarmente perfetto ma è questo che mi piace. Qualcosa o qualcuno mi ha chiesto di amare l'imperfezione e la santifico fotografandola col cellulare. Ecco.
Di perfetto c'è forse solo quel lontano tratto di acquedotto. Posso scrivere la parola "vestigia"*. Forse no ma ormai è andata. D'imperfetto c'è solo la rete? D'imperfetto c'è solo l'erba mal tagliata? Ecco già due "solo". Imperfetto mi pare pure quel tratto di nubi lì a sinistra come una via lattea un po' strisciata e mal posizionata e i due canneti scarmigliati. Ma è un fatto personale. E il palo più alto e quello più basso? Sto parlando di nuovo della recinzione. E quelle case laggiù in fondo a sinistra? Un grande edificio in mezzo alle vestigia (ormai ci siamo, usiamolo). Riprendo a pedalare. Ora la canzone è cambiata ed è questa.
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Esco dal verde e sono di nuovo su strada. Sul cellulare ho visto che siamo ben oltre le 8. Vado a comprare i giornali sotto casa. Ripasso dalla campana che spero non scolorisca per un bel po'. A parte la manutenzione delle strade dovrebbe resistere. Sarebbe bello poter dire "la mia casa è quella davanti alla campana!" Poso la bici, mi stendo fianco a fianco al mio gatto nell'erba. Poi vado nell'altro giardino dietro casa e raccolgo una ventina di more (quest'anno ne avrà fatte centinaia il roveto dietro casa) e faccio colazione con quelle, uovo strapazzato con erba cipollina che ho raccolto nel giardino, caffè freddo. Leggo i giornali. Si parla dei mondiali, un po' di politica ma non trovo nulla che mi interessi in particolare. Così leggo articoli stupidi con la leggerezza imperfetta che merita la considerazione delle cose stupide. Poi sono attraversato da un pensiero. Qualcosa che non so dire. Forse qualcosa che dovevo dire e non ho detto. Ma mi sembra tardi e mi sembra caldo. Troppo caldo. Come non detto.
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vestigio [ve-stì-gio] s.m. (pl.m. vestigi, più freq. pl.f. vestigia) 1 lett. Impronta che il piede lascia sul terreno SIN orma 2 fig. (freq. al pl.) Traccia, resto: le v. di una necropoli greca. sec. XIV
Mi sono fatto tanti amici e amiche citando Cristina Campo qui. Gli amici della Campo (al secolo Vittoria Guerrini) sono tanti eppure conservano l'aria da iniziati che meritano certi lettori di certi libri e autori. Sentite che bella questa lettera letta l'altro giorno su laRepubblica (7.VII.2010) come estratto di un volume (Il ramo fiorito) che esce ora per Marsilio. Indirizzata al suo amico Remo Fasani.
Caro R., a me sembra che la primavera abbia tutti gli attributi del poema perfetto; ritmo e controritmo, sapore massimo di ogni istante, capovolgersi continuo di tempo e di spazio - Non prova lei, in questi giorni, una sensazione come di bocci che si distacchino con dolore dai rami mentre le foglie cadute vi ritornano in volo? Non le accade di attendere pallido, col cuore in gola il suo passato, di piangere rabbiosamente il suo futuro? Non la prende l'impulso di dare tutto il suo sangue a ciò che ama e insieme quello di fuggire nel più lontano chissàdove, solo come il primo uomo, in un' aria di schiuma e di buona ventura? E una voglia di vivere tale da desiderare d' esser già morto (...). A presto, caro amico. Molto affettuosamente Vittoria 23.3.1952
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