Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ieri ho visto la chiacchierata tra Franzen e Piperno spesso interrotta da rilievi del pubblico che si aspettava... Rinizio: l'etilismo del lettore di cui parlavo ieri mal tollera le intromissioni tra autore e sé. Se qualcosa si frappone su quella strada è da "asfaltare" (un neologismo calcistico che sta andando per la maggiore). Quella che doveva essere una chiacchierata a due o un'intervista "alta" ha ceduto alla correzione del pubblico e Piperno è stato costretto ad abbassare i toni. Magari anche Franzen non aiutava. Magari è anche una questione di feeling (che secondo me a livello di scrittura in parte c'è). Magari è la differenza tra scrittori meno o più disposti a prendersi sul serio. Magari è il confine Europa-USA che Piperno aveva sagacemente notato come in sconfinamento (la newgeneration USA si chiama fuori dal proprio paese e lo fa spesso anche in location narrative). In ogni caso: come non cedere al nostro bisogno di correggere?
Ieri sera, ritornato a casa, ho ripreso in mano la mia copia de Le correzioni. Ho trovato sottolineata questa frase: "Avevano un solo modo per stare bene insieme, e non avrebbe funzionato per molto. La strana verità su Alfred era che l'amore, per lui, non era questione di avvicinarsi ma di tenersi a distanza".
Un bambino uscire dallo scuolabus e correre forsennatamente verso casa. la cartella che danzava sulle spalle piccole. Credo che nessuno possa correre, incendi a parte con quella stessa foga, dopo. Ricordo bene quell'icombenza interna, quella fretta. Mai più provata, così felice.
Di Carvelli (del 21/03/2011 @ 12:05:39, in diario, linkato 1218 volte)
Una delle prime cose che leggo sul numero nuovo di Internazionale è la poesia - in questo numero anche un interessante articolo di Dave Eggers sul suo luogo di scrittura - quella di questo numero mi piace ed è di Eva Taylor. Eccola.
Eravamo sdraiati
Eravamo sdraiati, lo vedo ancora. La sera bruciata nelle nuvole una radio accesa in una stanza e voci che cantavano.
In quell’ora sentivamo
tu la bocca che ti voleva io il suono che si perde.
Eva Taylor
Quando ci piace un autore o un libro di quell'autore qual è la linea che scegliamo? Leggere tutto di quell'autore è una delle linee più comuni. Consuete. Da un punto di vista editoriale trovo corretto anche pubblicare (nei limiti) tutto quello che quell'autore fa. Penso a tutto questo dopo aver ultimato la lettura dell'ultimo Kureishi di cui credo di aver letto davvero tutto. I racconti della raccolta Il declino dell'occidente non sono spaziali. Che mi piace mi piace trovo solo Ieri, tanto tempo fa e un po' meno Una storia terribile. Gli altri mi sembrano restituire la temperie da cui sono nate alcune sue cose migliori. E' una raccolta che lavora sul bilancio generazionale. Ma se uno legge, per dire, Il dono di Gabriel dentro ci trova quella temperie e tanta tanta poesia, la costruzione di un plot con tanti avvitamenti e soluzioni interessanti (lo sappiamo che il romanzo dà più possibilità rispetto al racconto ma non parliamo di questo). Qui sembra solo di vedere il colore che poi lì avrebbe usato e certe volte tradiscono i finali improvvisati o certi racconti-squarcio che stanno bene nelle raccolte come riempitivo a fronte di cose davvero buone. Torniamo al punto di partenza. Quale deve essere il limite della omnipubblicazione editoriale? Io credo, nonostante tutto, che non ci sia (nei limiti e nei meridiani, ovvero nell'opera omnia, per dirla altresì). Ma per il lettore deve essere un esercizio fare la media di quel che legge e non bere da etilista tutto quello che sulla bottiglia porta il nome dell'autore e il segno della percentuale (tipo Kureishi 5%). Un buon esercizio per non diventare dipendente.
Provate mai a chiamarvi per nome? Voi, voi stessi? Mettete mai il vostro nome assieme a quello di altri, per vedere come stanno? Roberto. Lo dico e succede qualcosa in mezzo, verso "be" o vicino alla seconda "r" che mi mette un po' in imbarazzo e mi fa vergognare. Come se fosse un bacio, un'altra cosa che mi fa arrossire. Roberto. Smetto subito di dirlo. Spero che nessuno me lo dica. Oppure sì. Non so.
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