Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 01/06/2011 @ 09:00:50, in diario, linkato 1031 volte)
In relazione alla presentazione del libro di Emanuele Ponturo (L'odio.Una storia d'amore - Fermento). Vi trascrivo alcuni degli appunti da cui sono partito.
Il carattere dell'ingenuità è il tema di forza di questo libro di Emanuele Ponturo. In definitiva, l'amore, per come lo conosciamo noi (o lo riconosciamo noi), vive nell'illusione di questo riconoscimento ingenuo che è quello che ci muove le sensazioni. Forse bisognerebbe diffidare delle nostre sensazioni. In questo libro sbaglia chi crede di aver riconosciuto l'amore e sbaglia chi crede di esserne stato riconosciuto (parlo rispettivamente delle sensazioni di Stefano e di quelle della protagonista femminile che ne subisce l'incantamento). Dall'amore (da questo sbagliato, mistificato tipo di amore) ci può salvare, a ben vedere, solo la convenienza (e non sto parlando del bieco interesse di qualsiasi tipo esso sia). Dall'amore (come sopra) ci può salvare solo la concretezza nelle sue varie sfaccettature (dalla passione fisica, necessità dello scambio, mutuo sostegno). Questo di Ponturo non è il romanzo di un odio come non lo è dell'amore (nel senso che ho spiegato). Piuttosto di una inintelligenza, di una incomprensione, di un fraintendimento. E' giusto o, se preferite, è naturale (e dovrebbe essere anche logico se ci accompagnasse una logica in questo campo così minato dal sensazionalismo) che questo tipo di amore fallisca. Anche se è il solo amore che (ri)conosciamo. E' questa l'ingenuità che ci viene restituita dal libro (nel non detto di questo pensiero di amore fallito perché mistificato) che le pagine restituiscono anche nella scrittura. Al parossismo folle di questa storia è salutare che finisca così. Questo amore deve e può solo essere eliminato. Chi è fortunato lo fa senza sangue e senza dolore. Ma comunque deve eliminarlo. Da questo punto di vista si potrebbe definirlo un libro di formazione o meglio di deformazione. Uccidere questo tipo di amore è la garanzia dell'adultità o meglio della felicità seconda che ci attende dalla maturità. L'amore da questo punto di vista è uno dei pochi riti di passaggio rimastici. Anche se ci vengono raccontati sempre meno. Sempre meno li sappiamo riconoscere. E questo succede nel romanzo che sceglie anche la confezione della fiba, del racconto di miti di passaggio, della novella esemplare. Leggendolo ho ripensato all'Humbert di Lolita di Nabokov che deve compiere un analogo rito a quello di Stefano. Non lo farà sulla ragazza ma su un suo omologo Cue. In definitiva un suicidio. Un togliere dalla scena la parte malata che è anche in lui. L'odio del titolo del libro di Ponturo è solo la vendetta, una vendetta verso sé, in fondo, un'eliminazione che sola può salvare il protagonista.
Di Carvelli (del 01/06/2011 @ 09:16:19, in diario, linkato 1292 volte)
Vi segnalo il bell'articolo (lezione) di Franzen dal Corriere della Sera di domenica che trovate qui. Vi segnalo il brano che ho letto e ho trovato interessante.
Il mio obiettivo è principalmente quello di mettere in rilievo il contrasto tra le tendenze narcisistiche della tecnologia e il problema dell' amore reale. Alla mia amica Alice Sebold piace parlare di «sporcarsi le mani e amare qualcuno». Pensa alla sporcizia che inevitabilmente l' amore schizza sullo specchio della nostra autostima. La verità è che cercare di piacere è incompatibile con le relazioni d' amore. Prima o poi, ad esempio, ci troveremo a litigare furiosamente, e sentiremo uscire dalla nostra bocca cose che non ci piaceranno affatto, che infrangono l' immagine di persone giuste, gentili, carine, attraenti, controllate, divertenti, simpatiche che ci siamo costruiti. Lasceremo emergere qualcosa di più autentico e la nostra vita improvvisamente diventerà reale. Ci troveremo a dover fare scelte vere, diversamente da quelle fasulle e commerciali tra un BlackBerry e un iPhone. Ci troveremo a dover rispondere a domande come: amo questa persona? Oppure: questa persona mi ama? Non esiste un individuo che possa veramente piacervi in ogni dettaglio. Questo è il motivo per cui un mondo regolato dal dover piacere è in definitiva una menzogna. Ma esiste una persona di cui possiamo amare ogni dettaglio. Ed è per questo che l' amore è una minaccia per l' ordine del consumismo tecnologico: rende evidente la menzogna. Non sto dicendo che l' amore sia solo fatto di conflitti. L' amore è empatia totale che nasce dalla rivelazione del nostro cuore che un' altra persona è reale quanto noi. È per questo che l' amore, per come lo vedo, è sempre specifico. Cercare di amare tutta l' umanità può essere uno sforzo lodevole, ma, paradossalmente, è un modo di continuare a puntare l' attenzione sul sé, sul proprio benessere morale o spirituale. Quando amiamo una persona in particolare e ci identifichiamo con i suoi dispiaceri e le sue gioie come se ci appartenessero, dobbiamo invece rinunciare a una parte del nostro io. Naturalmente il grande rischio, in questo caso, è essere rifiutati. Tutti noi riusciamo a sopportare di non piacere, di tanto in tanto, perché c' è un' infinita quantità di persone a cui potremmo potenzialmente piacere. Ma esporre tutto di noi, non solo la superficie piacevole, ed essere respinti, può essere catastroficamente doloroso. La prospettiva del dolore - di una perdita, di una rottura, della morte - è quel che dà la tentazione di evitare l' amore rifugiandosi nel mondo in cui si deve piacere. Eppure il dolore - potrebbe essere questo il mio messaggio più importante - fa male ma non uccide. Quando si considera l' alternativa - un sogno anestetizzato di autosufficienza, incoraggiato dalla tecnologia - il dolore emerge come il prodotto naturale e il segno naturale dell' essere vivi in un mondo che resiste. Vivere senza dolore è come non vivere. Anche solo dire a se stessi: «Rimanderò questa faccenda dell' amore e del dolore a dopo, a quando avrò trent' anni» vuol dire assegnarsi dieci anni di esistenza limitata a occupare spazio sul pianeta e a bruciarne le risorse. A essere (e lo dico nel senso più deteriore della parola) dei consumatori.
Sarò quello che sono sempre stato tornerò a essere quello che ero prima di essere ancora un altro che sarò. Qualcuno ricorderà o fingerà di dimenticare uno riderà alle mie battute uno no. Per qualcuno sarò speciale per un altro no. E così via. E così. Via.
E' come quando guardi in un punto fuori dal finestrino, della macchina o del treno, e vedi qualcosa che non ti aspettavi di vedere. Un angolo nascosto, un istante imprevisto. E lo riguardi quando è troppo tardi o è troppo tardi quando provi a riguardarlo. E non c'è più quello che avevi visto.
Ieri ho compensato una serata (quella di domenica) algoritmica e virtuosa fatta di tofu e salsa di soia (a casa di un'amica) con una sana bistecca di manzo danese e un hamburger di altrettanto virtuosa preparazione di quello che è ufficialmente divenuto il mio spacciatore di proteine. Il mio stomaco si deve esser fatto molte domande. Non io. Che ho gradito entrambe le cene, senza avercene con me né con nessuno per la varietà dietetica e alimentare.
Tutti i nodi vengono al pettine. Si dice no? Ci pensavo oggi e non perché mi pettino. Per ostinazione. Per contrarietà al crespo e cose così. I nodi vengono al pettine se uno li pettina. Ma se uno pettina è considerato noioso, cavilloso (ma non bisognerebbe dire capilloso?). Pedante insomma (anche se uno non pettina coi piedi). Quindi per chiudere che già vi sento scalpitare (ma perché ancora coi piedi? o viene da scalpo?): perché uno deve pettinare e far venire i nodi al pettine? Io qualche nodo lo lascerei ma mi rimetto a voi, mani e piedi.
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