Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La rubrica in cui iscriverei questa storia è il “lo sai” che tengo con la mia amica e. Ma non da e. viene ma da una mia collega. Il “lo sai”: lei è in metro le cade una moneta da due euro e lei la guarda rotolare come si guarderebbe un fenomeno scientifico ancora tutto da nominare, registrare, brevettare. La moneta si fa un po’ di metro. Parliamo, quindi, della linea A (Roma) e delle vetture più recenti. Ecco la moneta che sta rotolando e si ferma tra due signore che se la contendono. “è mia”, “no mia”. E sono entrambe – a sentire la mia collega – bene in arnese. Una di fronte dice di averla vista rotolare e che è sua e di nessuna delle due. La spunta una delle prime due. Ma rimane il risentimento delle altre. La mia collega non dice nulla. Guarda il tutto divertita. Ma un viaggiatore, che ha visto e sa, la invita ad andare a recuperare la “sua” moneta. Lei nulla. Ma all’uscita – ultima fermata, Anagnina – lui, di sua sponte, rivà dalla neoricca e le chiede di restituire la moneta che ritorna così alla mia collega. Ecco il lo sai della moneta rotolante.
Sommariamente va bene. Sommariamente me la cavo. Lavoro, sport, cose così... Un po' di "logorio della vita moderna", come si direbbe ma... Sommariamente procedo. Sottraendo la cosa si fa più spinosa. Per esempio: se al lavoro sottraggo la soddisfazione del lavoro? Se allo sport sottraggo i risultati in termini di fiato e tonicità? Insomma: sommariamente e senza sottrarre rischio persino di essere (o sembrare) felice. Persino. Ma guai a fare operazioni più complicate.
"il corpo interamente ideologico si fa strada nel senso/ della sua identità come indossando l'ovvietà/ di un abito un detto un modo antico di fare/ lo stile che ne consegue aggredendo il verso/ è l'effetto che la violenza del mondo e la sua/ propria hanno sulla parola che da tale forza è vinta/ lo stile è decisione e giudizio lo stile è pensiero" - Biagio Cepollaro - Le qualità - La Camera Verde 2012
Nel poco tempo che mi rimane provo a leggere. Con fatica. Dopo 9 o 10 ore di lavoro, dopo 1 o 2 ore per scrivere cose mie (e ho saltato varie ed eventuali - più eventuali che varie - più saltate che fatte). Dunque leggo (e spero di finire anche perché mi piace come è raccontato) Il caso Vittorio di Francesco Pacifico. Un libro, invero, già un po’ datato (solo nel senso dell’uscita perché attuale anche nella storicizzazione degli anni semi-vicini che racconta). Ci sono autori che conosco senza averli letti. Di cui sento spesso parlare. In qualche caso li incontro, addirittura. Ed è un vero peccato conoscere cosa pensano veramente ma senza contestualizzarlo nel loro mondo. Nei libri degli autori c’è quasi sempre il mondo di quegli autori, un mondo che a volte non coincide o poco con come sono fuori dalle righe. In questo caso, magari, anche superato dai nuovi sviluppi del loro lavoro. Un’evoluzione del loro mondo o dei mondi nei mondi in cui fanno vivere i loro personaggi. Nel caso di Olivier Adam - Passare l’inverno, racconti, sempre minimum fax - il mondo del racconto mi piace ma le chiuse dei tre-quattro che ho letto no. Nessuna. Peccato. I racconti sono belli. Bella la prosa. Bello il mondo in cui ti calano, il senso di sospensione su cui scende decisa l’accetta del basta. E basta quello per cambiarmi la percezione della bellezza. Mentre sono così affaccendato (nelle faccende mie e in quelle di questi due libri presi in biblioteca) mi arriva il nuovo di Carola Susani (Eravamo bambini abbastanza) – e aridanghe sempre minimum fax – e sospendo la lettura degli altri due anche perché di questo ne scriverò. Due pagine e già mi piace. C’è un’atmosfera vonneguttiana e il senso di una catastrofe imminente o appena avvenuta. Lo sento vicino. Vicino a quello che sto scrivendo. Una storia (la mia che scrivo) a cui mi sto appassionando di nuovo dopo averla abbandonata per un po’ di tempo. Un libro di anticipazione totalmente diverso dagli altri che ho scritto finora. Un libro che è fuori e dentro di me. In cui guardo (scrivo vedendo) e racconto. Un mondo in cui uno come me – che non sono io – sta muovendo i suoi passi. In una catastrofe che già c’è stata. Nella speranza di una che ci sarà. Come per cercare un angolo di mondo in cui non lo coglierà. Leggo e scrivo. Strappando tempo al tempo. Quello della lettura (e nella lettura). E della scrittura (nella scrittura e della e nella lettura di quella).
Ciao caro o cara posso essere un po' ipocrita con te? Dirti quel che non penso? Prendere le tue parti davanti e parlarti male dietro? Scusa eh sai cioè... E' che preferisco che tu pensi che io ti stimo. Non è che ci rimani male no? Sai così è tutto più semplice. In fondo siamo fatti tutti così. Vabbè adesso vado.
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