Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nessuno fa come noi
Nessuno va e viene da una pallida dichiarazione d'intenti. Nessuno libera il gregge delle promesse nell'aperta valle da cui nulla mai è tornato. Né attende a una posa di selciato né mai vi cammina. Nessuno come noi litiga per la pace, per avere il privilegio del bacio che suggella, della parola che placa. Nessuno fa come noi. Gli altri sono i contabili del buonsenso. A noi e solo a noi il brevetto della felicità.
Di Carvelli (del 23/10/2012 @ 09:49:05, in diario, linkato 1434 volte)
Qui c'è quiete, qui sto bene, qui i prati sono freschi e puri, e la luce del sole e la zona dell'ombra son buoni l'un l'altro come bambini ubbidienti. Qui la mia vita, che è un forte struggimento, non so più che struggimento, è sciolta, qui il mio volere è sciolto. Sono così quieto, così caldo e vivo, passano linee per il sentimento, non so, è tutto confusione eppure tutto è contraddetto. Non sento più alcun lamento, eppure il lamento è nello spazio, in modo così lieve, così chiaro, così sognato, e di nuovo non so più nulla. So solo che qui è tranquillo, spoglio da ogni spinta ad agire, qui sto bene, qui posso riposare, qua nessun tempo mi misura il tempo.
Cos'è la letteratura per me. Cos'è un libro per me. A cosa mi serve leggere. E nessun punto di domanda. Perché sono tutte risposte. Perché la domanda è una risposta. La risposta è la scelta. Scegliere è il mestiere della letteratura. Il suo specifico. Scegliere è cercare. Qualche volta trovare. Fortunatamente (o fortunosamente) trovare. Cerco un libro che mi spiega. Che spieghi il meccanismo delle cose che non so, di quelle che avverto senza saperle dire. Cerco un libro che apre. Che apra quelle nuvole grigie che nascondono le cose e i sentimenti che ho intuito. Che metta in contatto queste urgenze. E vengo a Richard Yates. Di cui avevo letto e apprezzato Revolutionary road. Anche se ne avevo percepita una bellezza perfetta ma distante. Algida. La stessa che ritrovo negli Undici racconti. Una riuscita scuola di scrittura: bellezza messa in forma propria. Eppure è in Easter parade che avverto la scossa vivida dell'incontro che cerco. Quello con il saper rivelare. Quello con il disegno più grande che uno scrittore magari si limita a tratteggiare con segni molto leggeri ma necessari e prossimi alla evidenza di una verità più ultima. Più grande è lo scrittore più chiaro è il disegno. Più vibrante la parola che lo dice. Vibrante ma essenziale. Vivida la luce. Abbagliante ma schermata per renderne chiara ma sostenibile la visione.
Di Carvelli (del 19/10/2012 @ 08:54:11, in diario, linkato 1417 volte)
sempre sia il mio cuore aperto ai piccoli uccelli che sono il segreto del vivere qualsiasi loro canto è meglio del sapere e gli uomini che non li sentono sono vecchi
sempre la mia mente vaghi affamata intrepida assetata e agile e anche s'è domenica il torto sia mio ché se la gente ha ragione non è giovane
e che io non faccia mai nulla di utile e il mio amore per te sia più che sincero perché nessuno giammai fu così stolto da non attirarsi con un sorriso il cielo
Rimasto indietro sulle visioni recenti inizio da ieri sera. Anche se con poca emozione e dico sì andate al cinema ma non per forza a vedere On the road. Perché fotografia a parte si tratta di un film che manca un po' lo scopo accontentandosi di una visione parziale e di strada. Senza riuscire ad approfondire più di tanto il viaggio della vita di cui è metafora quella strada che attraversa gli States. Bravi gli attori ma in se stessi. Come esercitazioni di uno stile che tiene in piedi questo tributo mal riuscito a una grande opera narrativa USA (vedi anche Chiedi alla polvere: dimostrazione che è meglio punire di sorvegliare quando si ha a che fare con un talismano, epocale o assoluto che sia). Andate al cinema a vedere Reality perché sì questo è forse il film italiano migliore del momento. Certo si allunga un po' nell'attesa dell'ingresso nella casa e nelle manie di persecuzione che avvelenano il sogno del successo ma alla fine è un'opera importante e riuscita nelle sue ambizioni di trascesa sociologia. Contrariamente a The Truman Show il protagonista in fine entra nel invece di uscire dal sogno di realtà (edulcorata). E lo fa nel solo modo che conosce: di soppiatto, fondendo tristemente aspirazioni di cui si nutre (malamente) e mezzi di cui disponde (inconsapevolmente). Una favola cruenta con un fine lieto solo nelle intenzioni di chi si condanna alla propria sconfitta di realtà. Andate al cinema a vedere Tutti i santi giorni perché Virzì è riuscito a fare un film sull'amore partendo dal suo frutto(?) più immediato e quintessenziale divertendoci amaramente sulla incolpevole necessità di aggrapparci a qualcosa per dire di esistere affettivamente. Effettivamente. E' in questo sostanziale - e strutturale - sbilanciamento che l'amore opera e dispone. Il cupido più vero crea lacci e cordate e in questi tiene assieme personalità diverse, aspirazioni inappagate. Dove c'è amore c'è una salita che magari non arriva mai alla sua vetta. Un'aspirazione, una ossessione e un bisogno. E' il suo bello, direbbe qualcuno. Questo tentare. Delle volte anche questo frustrato non riuscire. C'è a chi piace. E c'è che ogni tanto finisce per piacere un po' a tutti. E per dispiacere. Ma si gioca così.
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