Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
So fare gli anelli di fumo ma solo se mi concentro molto. Oppure faccio delle cortine grigioazzurre che nascondono il tuo viso. Questo momento si chiama domenica. Domenica è tutti i momenti in cui ci permettiamo di essere inutili, superflui - cosa che ci resta un po' difficile a entrambi (e questo è male: ce lo diciamo spesso). Mentre io faccio tutti questi giochi tu provi a bucare le nuvolette con parole che ti sei inventata. Io rido e vado a fare il secondo - o il terzo, ho perso il conto - caffè. Tu continui a dire: callamulla, suvina, beldossare. Se ti chiedo cosa significano tu dài la definizione esatta di ognuna. Iniziando come un vocabolario. Verbo transitivo, dici. Sostantivo femminile, dici. E avverbio, dici. Qualche volta coniughi pure: "io beldosso, tu beldossi, lui lei esso..." Io rido e bevo un altro caffè facendo ancora nuvole di tabacco.
Tu non chiedere - non è concesso sapere – quale fine a me e quale fine a te gli Dèi abbiano concesso, o Leuconoe, e non consultare i calcoli babilonesi. è meglio patire ciò che sarà. sia che Giove ci attribuirà molti inverni O che questo sia l'ultimo, il quale fa infrangere le onde del mar Tirreno sulle opposte scogliere, tu sii saggia e versa il vino e recidi ogni lunga speranza che oltrepassi il breve spazio del tempo immediato. Mentre parliamo esso è già fuggito. Cogli l'attimo, credendo il meno possibile nel domani.
Penso a che fortuna è raccogliere testimonianze di altri che hanno vissuto un quartiere. Che ne conoscono le strade da sempre. Che ne hanno ereditato anche ricordi precedenti, non vissuti eppure veri come se fossero veri davvero. Di una verità parallela. Acquisita. Scrivo tutto questo pensando alla passeggiata di ieri al Quadraro che è stata impreziosita da brani di vita. Ogni momento di questa piccola avventura di strade ha avuto la presa diretta di quelli che sanno davvero il quartiere. Da e per generazioni. Ed è stato un piacere per me che la coordinavo e per i tanti intervenuti.
Ieri abbiamo visto End of Watch - Tolleranza Zero. Che uno possa perseguitare in maniera supplizievole chi ha detto che è un bel film! Che qualche punizione discenda su chi ha gridato all'innovazione o al miracolo. La parola caz** è la panacea di ogni male e di ogni bene. Qualcuno ne tenga il conto: duecento? trecento? Il poliziotto è rude ma ha buon cuore. Insomma non manca nulla per gridare alla noia. Dunque, perché no. O perché sì. Poi va aggiunta una telecamera nascosta per dire che è un film nel film. Una pellicola sperimentale (con nausea inclusa nelle scene di cameracar). Ah che innovazione! E poi morire ma lasciando quel vuoto di una simpatica canaglia che talvolta sbaglia. Ma per bene. Nella notte vuota brillano le luci-comete. E' già Natale.
Nella raccolta "Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank" (Einaudi) di Nathan Englander c'è un racconto di truce realismo e di candida follia. Autore (sic!: senza nome e come fosse una funzione) va in giro per gli States a presentare il suo nuovo libro. E' reduce da successi. Ma reduce, appunto. Pochi che si ricordino di lui. Così - come sa chi ha presentato libri e teme - non si presenta nessuno a questi happening. Né alla prima né dopo. Salvo un buffo personaggio, un seccatore diremmo. Eppure finisce per essere l'alleato del suo perduto passato. La memoria flebile del meglio che è stato. Autore. I soldi finiscono, il giro continua. Ma nelle librerie solo Autore e il tipo buffo che lo costringe ad ottemeperare alla regola aurea che "se c'è qualcuno comunque la seduta è valida". La lettura non ha un numero legale. Conta da uno. E un/lo Autore deve saperlo. Anche se è fiele essere per pochi (e consolazione è che sia melassa essere per troppi). I racconti di Englander sono molto belli - non saprei dire se sono la sua forma migliore (come ho letto in molti) perché mi piacque pure "Il ministero dei casi speciali".
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