Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Tu non chiedere - non è concesso sapere – quale fine a me e quale fine a te gli Dèi abbiano concesso, o Leuconoe, e non consultare i calcoli babilonesi. è meglio patire ciò che sarà. sia che Giove ci attribuirà molti inverni O che questo sia l'ultimo, il quale fa infrangere le onde del mar Tirreno sulle opposte scogliere, tu sii saggia e versa il vino e recidi ogni lunga speranza che oltrepassi il breve spazio del tempo immediato. Mentre parliamo esso è già fuggito. Cogli l'attimo, credendo il meno possibile nel domani.
So fare gli anelli di fumo ma solo se mi concentro molto. Oppure faccio delle cortine grigioazzurre che nascondono il tuo viso. Questo momento si chiama domenica. Domenica è tutti i momenti in cui ci permettiamo di essere inutili, superflui - cosa che ci resta un po' difficile a entrambi (e questo è male: ce lo diciamo spesso). Mentre io faccio tutti questi giochi tu provi a bucare le nuvolette con parole che ti sei inventata. Io rido e vado a fare il secondo - o il terzo, ho perso il conto - caffè. Tu continui a dire: callamulla, suvina, beldossare. Se ti chiedo cosa significano tu dài la definizione esatta di ognuna. Iniziando come un vocabolario. Verbo transitivo, dici. Sostantivo femminile, dici. E avverbio, dici. Qualche volta coniughi pure: "io beldosso, tu beldossi, lui lei esso..." Io rido e bevo un altro caffè facendo ancora nuvole di tabacco.
A mio padre
Ti sei lavato, hai indossato abiti intatti, poi la mente mi slitta ad ogni passo. Non ho voluto vederti, di certo ti avranno sdraiato. Solo vorrei sapere, oppure è un sogno, che non fu angoscia la tua meticolosa cura - i documenti posati sulla panca la sedia che portasti nel giardino, il nodo - ma un qualche imperscrutabile, ma lieve, stato. Tutto è con te, segreto. Forse a spartirne il peso io serbo, dell' atto tuo, l'altro versante - il tonfo della sedia sulla pietra, e la tua assenza e il dondolio, che cullo, lento, lentissimo del corpo sotto il pergolato.
Siamo andati a vedere Amour e Argo. Non lo stesso giorno. Non con la stessa animosa attenzione ai due mali che raccontano. Abbiamo visto Amour e siamo rimasti sorpresi della maestosa interpretazione della Riva. Della sobrietà di Haneke nel suo racconto del dolore e della vecchiaia. L'intimità ripresa ha reminiscenze kieslowskiane ma senza la morale cara al regista polacco. Lo sguardo dell'austriaco è molto più dentro le vicende umane ma senza giudizio o soluzioni offerte in partenza. Niente di consolatorio. Trintignant è parimenti bravissimo e la metafora del piccione che rimane imprigionato e perde la sua libertà non ha nulla di semplificatorio. Esiste un modo per riconquistare la libertà: la possibilità di un aiuto. Anche se si tratta di una facilitazione estrema. Ma forse non va detto "dolorosa". Di Argo in realtà c'è davvero poco da dire. Andarlo a vedere oppure no sapendo che non cambierà nulla del vostro sentire.
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