Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Leggete i racconti di Cheever vi farà bene a quel che deve fare bene e male quanto basta a quel che serve che sia fatto del male.
"I bambini si preparano a una crociera con uno spazzolino da denti e un orsacchiotto di pezza, si attrezzano per un viaggio intorno al mondo con un paio di calze spaiate, una conchiglia e un termometro; libri, pietre e piume di pavone, stecche di cioccolato, palline da tennis, fazzoletti sporchi e vecchie matasse di spago sembrano loro il corredo indispensabile per un viaggio e Amy preparò il bagaglio, quel pomeriggio, con l'impulsività tipica dell'età".
John Cheever - The Sorrows of Gin (da I racconti - Feltrinelli)
L'ignorante
Più invecchio e più cresco in ignoranza, più ho vissuto, meno possiedo e meno regno. Tutto ciò che ho, è uno spazio di volta in volta innevato o brillante, ma mai abitato. Dov'è il donatore, la guida, il guardiano? Resto nella mia stanza e innanzitutto taccio (il silenzio entra da servitore a mettere un po' d'ordine) e attendo una a una le menzogne allontanarsi: cosa resta? Che cosa impedisce a questo moribondo di morire? Quale forza lo fa ancor parlare tra le sue quattro mura? Potrei saperlo, io l'ignaro e l'inquieto? Ma lo sento davvero che parla, e la sua parola penetra col giorno, ancora molto vago:
“Come il fuoco, l'amore non instaura il suo chiarore che sullo sbaglio e la bellezza dei boschi in cenere...”
(Traduzione di Elisabetta Bonomo). Testi tratti da Poésie 1946-1967.
Possa essere io il buco della ciambella. Il marcio che si inala. La ciabatta invertita. Il cane zoppo. La balena che non nuota. La medusa vuota.
Che poi certe cose le potevo fare meglio. E parlo di quelle che non ho fatto. Cioè di quelle che potevo non fare. Meglio, compiutamente. Per esempio potevo non farle prima. O farle dopo quando in realtà andavano fatte e non le ho fatte. Insomma, una questione di opportunità. Non opportunista. Cioè di opportunità non opportune. Una specie di ginnastica da fermo. A mente. Un sollevamento pesi senza pesi. E che, non per questo, non pesa. Sembra confuso. E' confuso. D'altronde cosa non lo è. O non dovrebbe esserlo. Considerando la transitorietà. E altre cose un po' fatiscenti e in bilico che sorreggiamo con tutto la forza di cui disponiamo e fino a che non cadono rovinosamente senza poterci fare nulla. A parte ridere.
Zapoj è una cosa seria, non la sbronza di una sera che, come da noi, lascia soltanto un cerchio alla testa il giorno dopo. Zapoj vuol dire restare ubriachi per parecchi giorni senza smaltire la sbornia, vagare da un posto all'altro, salire su treni che non si sa dove vanno, confidare i segreti più intimi a persone incontrate per caso, dimenticare tutto ciò che si è detto e fatto: una specie di trip.
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