Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Pettinarsi, lavarsi, truccarsi, vestirsi. I nostri verbi riflessivi. Poi penso ai verbi della reciprocità. Che non sono gli stessi. Che potrebbero esserlo. Sono azioni piene di cura quelle di cui l'oggetto siamo noi o uno/a che ci è molto vicino/a.
Senza bussola
Secondo Darwin avrei dovuto essere eliminato secondo Malthus neppure essere nato secondo Lombroso finirò comunque male e non sto a dire di Marx, io, petit bourgeois scappare, dunque, scappare in avanti in indietro di fianco (così nel quaranta quando tutti) ma permangono personali perplessità sono ad est della mia ferita o a sud della mia morte?
www.club.it/autori/grandi/luciano.erba/poesie.html
SEGNO + Direzione degli attori Regia Fotografia Interpretazione di Pucillo L'uso del dialetto L'ambientazione
SEGNO - La retorica dell'accoglienza La retorica del rifiuto La generalizzazione buoni-cattivi La sceneggiatura (senza centro e senza sviluppi) L'interpretazione un po' meno convincente degli altri attori
Sto leggendo Eugenio Baroncelli - Mosche d'inverno. 271 morti in due o tre pose (Sellerio). E mi sta piacendo. Come mi piace la letteratura di catalogo (e come non mi piace che si usi la parola divertissement per "catalogare" quel che non si riesce a catalogare). Baroncelli usa una prosa attiva e capace di immaginificità ed esattezza al tempo (al tempo opportuno). Apre con esergo ben scelti. Come questo di Cioran: "Chiunque non muore giovane presto o tardi se ne pentirà". E chiude con estro da prosatore navigato. Il libro (che consiglio con grande calore) è, per chi non lo sapesse, un "vite di uomini illustri o quasi" colti nel loro atto ultimo. La morte. Come gesto definitivo e carico di senso e destino (destino che la precedente e la compie, definendola). Ne cito una così, per farvi esempio.
Julio Cortàzar Parigi, 12 febbraio 1984. Muore finito dalla leucemia. Chissà se con lui finisce anche quel sogno, non esserci del tutto in quelle ragnatele che ci prepara la vita e in cui siamo un giorno ragni e un altro mosche.
Ho visto Carnage. Avevo già visto a teatro Il Dio della Carveficina. Ho avuto modo di rappresentarvi, come si dice, il mio apprezzamento per Yasmina Reza (che qui lavora anche allo script). Che ho recensito positivamente a suo tempo per il suo libro su Sarkò. Non c'è che dire Polanski ha una grande abilità da mettitore in scena. Riesce a costruire un meccanismo perfetto in cui la ristrettezza dello spazio scenico respira e fa continuamente dimenticare l'angustia. Il fuori, evocato dalle parole dei protagonisti, è trasmesso dal continuo entrare e uscire nel pianerottolo (a volte fuga a volte ritorno), dalle chiamate al cellulare (simbolo di una disattenzione e di un non voler essere dove si è). E alla fine si respira. Oltre alla rabbia, alla mefitica aria buonista e cordialmente fasulla anche il resto. Quel che non si vede. E questo è talento. Quel talento che venezia non ha avuto coraggio di premiare per ossequio delle leggi che condannano il regista (e su cui non entro in merito non avendone conoscenza). E mi sembra che si tratti di una nemesi. Anche questa.
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