Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Sostiene una mia amica che da ora in poi quando io abbandono Roma lo fa pure lei. Sabato scorso ero a Milano e ieri a Trieste mentre imperversavano roghi e diluvi (rispettivamente).
"La gente non ha pazienza con questo genere di struggimento, e perché dovrebbe del resto? Chi ne soffre deve fare a meno della comprensione altrui, rinunciare alla dignità, contenere i danni. E come se non bastasse, qualcuno si prenderà pure la briga di farti sapere che il tuo non è vero amore. Questi accessi di desiderio e dipendenza, venerazione e attaccamento morboso, queste trasformazioni terrificanti sebbene auspicate non sono vero amore".
Ci ho riprovato. Con Alice Munro. Una delle più straordinarie autrici di racconti a cui arrivo però sempre con poco fiato. Ecco, lo dico, con questa scrittrice canadese non riesco a spezzare il fiato. Come nella corsa arrivo a venti minuti e mi fermo. Devo prendere fiato. Riposare. Non vado avanti. Mi è successo con Il sogno di mia madre, libro caldeggiato da una mia amica. Ora, con Il percorso dell'amore (da cui ho citato Lichene - non vi do spiegazione del titolo, trovatela da soli) supero il limite personale e godo della grandezza dlla sua scrittura. Ma devo respirare molto.
Ricordate Baroncelli? Quello di Mosche d'inverno? Perché lasciarlo impolverare? Cito ancora uno dei morti per anzianità. E, in questo caso, c'è da morire d'invidia. Quella di Walser che già spesso ho qui commentato e linkato.
Robert Walser
"Beati quelli che possono godere della disperazione" R. WALSER
Herisau, 25 dicembre 1956. Di passeggiate è vissuto, e di passeggiata muore. E' uscito come sempre e non ritorna. E' uscito nel parco spopolato dal Natale, dove spera di sentire l'eco dei suoi passi. Dove era diretto? Lo trovano imbiancato dalla neve, su cui ha lasciato quell'illegibile stenografia di orme.
Di Claudio Piersanti tutti abbiamo apprezzato finora e apprezziamo alcuni di noi la grazia del racconto. Ma forse da qualche tempo. Da dopo Luisa e il silenzio per essere più chiari. Da qualche tempo, dicevo, qualcuno tende a fargli pagare lo scotto dell'abbandono della provincia. Forse corrispettivo di un passaggio biografico. Eppure anche s rimaniamo affezzionati a quel libro - la sua cosa migliore insieme ai racconti de L'amore degli adulti e al romanzo Gli sguardi cattivi della gente - non possiamo non apprezzare il coraggio de Il ritorno a casa di Enrico Metz e di questo ultimo I giorni nudi. Due testi che affrontano con lucidità e verità un pezzo di storia italiana (il post tangentopoli, il passaggio dal tutto al nulla di un potente che poi nulla non è) e di un cambiamento dei costumi (sto volando basso). L'ultimo libro, in particolare, ha la forza del faccia a faccia con quegli amori tardivi (ma perché chiamarli amori e perché tardivi se l'amore rimane cinicamente agganciato a una paura e a un nichilismo di cui molti sono vittime, compreso il suo protagonista?). In particolare Piersanti forse per la prima volta dà spazio alla sessualità non accontentandosi di rappresentarla ma impegnandosi a significarla. Ed è già un merito. Non si discute che L'appeso e Charles possano essere dei testi incompiuti (il primo oserei pensare per scelta, il secondo per giovinezza di scrittura - era un testo più antico?) ma i libri successivi a Luisa e il silenzio meritano di essere considerati come un coraggioso percorso di ricerca fatto di scarti e spostamenti da un centro asseverato (la provincia, le storie intimiste e solitarie) e anche questo è meritorio. Forse noi a un autore chiediamo sempre di non cambiare, di serializzarsi, di ridarci quel che già ci ha dato (e a pensarci bene tutto ciò spiega il successo di autori come Camilleri e Carofiglio ma forse anche un De Luca, successi di pubblico più che di autori senza nulla togliere agli scrittori in questione). Siamo lettori cronici o cronicizzati? Spero nessuno dei due. E spero che neanche i critici cadano nel tranello dell'atteso.
Di Carvelli (del 27/10/2011 @ 08:53:46, in diario, linkato 1048 volte)
Ho trovato un bellissimo racconto nella raccolta Il percorso dell'amore di Alice Munro. Si intittola Miles City, Montana. Ne cito un brano: "Quanto a me, mi appagava la sensazione di lasciarmi ogni cosa alle spalle. Adoravo partire. Anche in casa mia, mi sembrava di essere spesso alla ricerca di un nascondiglio - a volte dalle bambine, ma più sovente da tutti i lavori da sbrigare e dal telefono che squillava e dai vicini troppo socievoli. Volevo nascondermi così da potermi dedicare alla mia vera occupazione: una sorta di corteggiamento a distanza di certe parti remote di me. Vivevo in stato di assedio, con l'ossessione continua di perdere ciò che volevo trattenere". Nella Munro c'è un costante senso del pericolo. Una minaccia incombente. Spesso piccola ma foriera di conseguenze temute. Ma preventivate. Come se il personaggio vedesse altro, anticipasse. Eppure, nel narrare, si mette dalla parte del comune spettatore che quel pericolo non vede e trasmette un senso di tranquillità che poi verrà rotto da un accadimento. Solo insinuato dalla sensibilità del narratore. Lo stile della scrittura è preciso, non lezioso. E questo rende il racconto raffinato ma non altezzoso. Anche se - e questo conferma le mie difficoltà da lettore talvolta superficiale quale sono (talvolta) - tanta precisione e tanta naturalezza senza l'acume della sensibilità possono risultare ostiche o noiose.
|