Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Delle volte prendo un libro e lo leggo sospettoso fino alla resa di un'opinione (pregressa? preconcetta? preliminare?). Altre volte tre o quattro a salti o per il bisogno di avere seguito. Altre tre o quattro ad aborti di venti pagine o a salti di interesse. Altre volte (ieri) uno e poi il riassunto di un altro e un brano di quel riassunto come prova, e una poesia, e un altro brano e il riassunto dell'altro ancora come se il libro fosse uno e le parole che ne parlano un circolo di frasi dentro cui fare una specie di girotondo.
Vorrei dire qualcosa ma cosa di questa surreale parola fine di un vicenda di per sé surreale. Non mi escono parole umane né politiche. Mi fuoriesce una specie di rassegnazione da reiterazione (un riscontro). Esistono eserciti? In nome di chi o che? Esistono governi? Per nome di quanti e come? Esistono leggi? In favore di chi e quanto? E il resto?
meglio pensare ad altro. Per esempio un giorno così. Per esempio pesantezza. Forse un po' di dolore. La sensazione che la casa poggia male. Che sotto non è terra buona quella e che forse un po' te lo aspettavi. Ma prima che questo malessere sia vero terrore. Intanto. Meglio pensare ad altro.
Alle volte è solo che hai mangiato pesante o hai dormito male. Allora noti le cose che non vanno. O sono le cose che non vanno che ti fanno notare che hai mangiato pesante e che hai dormito male? Perché alle volte si dorme poco e ci si sveglia lo stesso felici. Sensibilità è parola da non pronunciare. Tabù. Perché è per quella facilità con cui attingi al male che assorbi al male. Solo riconoscendolo. Se esiste un sesto senso andrebbe declinato. Sesto senso: riscontrare cose che non ti tornano, tipo che qualcuno trama alle tue spalle, che approfitta di una debolezza per colpirti o che reagisce ad una difficoltà oggettiva cercando una fuga, un sotterfugio che tu non dovresti cogliere (ingenuamente pensando così). Sentire l’ineffabile differenza tra le parole (di comprensione, di affetto) e i fatti (sotterfugi, telefonate interrotte davanti a te ecc.) E soffrirne. Sesto senso bis: notare le stesse cose e fregarsene o considerarle un segno distintivo (una buona traccia) per scansarsi prima che il vaso che ondeggia cada.
Alla fine bisogna pure sopravvivere e buttarsi le cose alle spalle. E l'importante alla fine (che poi non è la fine ma una metà comunque di questo percorso che chiamiamo vita) è avere idee chiare e un po' di pace che poi tutto si sistema o no? Alla fine, finché non finisce...
E' formula rituale che gli scrittori si mettano a riparo da rischi di riconoscimento (e a seguire processi, querele e così via) dietro alle parole "ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale". La formula è a volte un pareo, un velo a volte un muro dietro c'è sempre una verità o un'ispirazione alla verità. Quindi se scrivo Io scrivo NOI (IO+ALTRI). Quando scrivo LUI scrivo IO+Altri/o. Insomma: scrivere è fingere o fingere di fingere. In definitiva fingere anche qui. Detto questo forse la narrativa e res extensa anche questo umile blog è verità+finzione. Se scrivo questo riguarda quello+quello+quello+quello. Perché noi siamo (e gli altri sono) tante cose, tante persone e viceversa.
Cosa pensa la mia moto di me? Domanda illegittima? Farneticante? Realista-magica? Sudamericana? Realismo impone che io pensi (e mi preoccupi) di quello che pensano altri. Amici parenti amanti colleghi di lavoro critici giornalisti. Che cosa penso io della mia moto, allora? Concedetemelo che ve lo dica. Penso che ha nove code. Nove code che non si vedono. Sembra morta (la batteria, il motore, poi ancora la batteria, la cinghia) poi risorge come una fenice. Cosa penso? Che questa moto ha un’anima. Piccola e rumorosa. Vorticosa. Scamuffa. Ma ce l’ha. Fa cose inaspettate. Si indigna trema, si allea, riparte. Se cado va dalla parte opposta. Forse vede le macchine. Frena all’occasione. (Sarà sempre così?). Fa il suo lavoro, direte voi. Forse sì, ma lo fa bene. E stamattina la voglio onorare.
Ero all'altezza? Sono all'altezza?
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