Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Gabriele Muccino* negli extra del DVD del suo film primo americano La ricerca della felicità, dice una cosa sull'andare di Will Smith. Grosso modo dice che i suoi passi sempre in andare, sempre di corsa, sempre verso qualcosa che gli sfugge sono quelli di un uomo che vuole essere migliore. Una cosa del genere che a me è piaciuta. E' vero che esiste un modo di andare che rappresenta la corsa dell'essere umano verso qualcosa di lontano da lui, raggiungibile ma sempre un passo oltre. Ecco la corsa, l'andare frenetico. Il rincorrere. Con tante perdite e una lenta, faticosa rincorsa di qualcosa che è bello ma dura un secondo. Il secondo che ci rende massimamente umani.
*Su Muccino (Gabriele) vorrei fare una postilla che vale anche per Baricco (Alessandro), scrittore. Si tratta di due personaggi un po' capri espiatori di tutte le idiosincrasie (magari anche giuste) della critica. Mi piacerebbe che verso di loro si attenuasse il fiele del giudizio. Baricco ha fatto cose buone con uno stile che è suo, un po' barocco, qualche traccia di retorica ma con un grande senso della scrittura, invidiabile e originale rispetto a tanta medietà editoriale (ricompattazioni da editor di stili uniformati). Muccino ha fatto dei buoni film fino a questo americano (compreso) poi è scivolato sul sequel fastidioso del suo grande successo. Baciami ancora, di cui già scrissi, era infatti la malriuscita copia del primo. A lui il merito di aver portato nel cinema italiano una ottima direzione degli attori fino a lui praticata male o solo autorialmente. Non stiamo stilando nessun canone (che anzi parrebbe scaturire dalle uniformazioni di cui dicevo), né definendo categorie alte. Né in un caso né nell'altro. Solo un saggio riequilibrio di proporzioni che spesso il successo fa perdere (a chi lo subisce o lo patisce).
Su Internazionale, numero ancora in edicola, un interessante articolo di Hanif Kureishi dal titolo "Kama Sutra senza peccato" (in originale "KS and the search for pleasure" che forse per il nostro cattolico paese va reso eliminando il problema a monte). "Il divieto rende possibile il divertimento serio, come le regole rendono possibile lo sport. Se spariscono l'autorità e i tabù, non aumenta il divertimento, aumenta il nulla". Così scrive Kureishi. Che parla della mancanza di sguardo, del tanto non detto non scritto in questo bellissimo libro antico. Tanto che lo definisce un po' un manuale self help per nerd. In realtà nel KS ci sono tante cose. Tante ne mancano. Certo fa parte di una manualistica antica che ha trovato agio da noi per quelle stinfie paginette di posizioni spesso illustrate. Magra cosa sì pensando al tanto che ci passa in mezzo a tutti quei cambi di prospettiva. E questo è noto. Come noto è che il manuale fosse rivolto a un pubblico preciso. Anni fa mi sono cimentato in una postmoderna riclassificazione di un "discorso amoroso" ai giorni di oggi. Con tanto di clone di quelle stinfie paginette evoluzionistiche. Con poca fantasia e poco spazio. Lo spazio di una smart. Non c'erano immagini e questo ha spesso dissuaso i recensori. E forse i lettori anche se a oggi Kamasutra in Smart è esaurito. Anche io credo che il discorso o "la Situazione Uomo-Donna" come la definiva una mia amica abbia bisogno di più di un catalogo di mosse. E il discorso in genere abbia bisogno più di silenzi che di parole. Perché le parole che diciamo a proposito spesso non ci riguardano. Sono altre. Altre da quelle che sentiamo davvero. Altre da quelle che vorremmo davvero dire. La storia è lunga e controversa. Io oggi merito solo di annunciarla. Agli altri le conclusioni. Ritornando alla frase dall'articolo di Kureishi. Ricordo ancora l'adagio di Bunuel che così sintetizzava la sua educazione arcicattolica (cito a memoria): "le cose che ha acuito invece di cancellare in me sono state il senso della morte, l'interesse per il sesso" e la terza non la ricordo. Buonagiornata.
Stamattina non ho carte buone. O scarto quattro o passo. E passo.
Un mio amico, più grande di me di qualche anno, tempo fa raccontava qualcosa riguardo al suo matrimonio, ai figli. Il suo precedente matrimonio. Ora è separato. Ora ha un'altra compagna. Com'è andata, come non è andata quella storia è finita. E lui, nel fare, un po' di sana e saggia dietrologia. Niente di trito o di banale. Raccontava di come lui si facesse portare da qualcosa che c'era in quel rapporto che non gli apparteneva veramente. Tipo che sgridava i figli, li riprendeva e anche con una certa rabbia. Ma a ben vedere, raccontava, non c'era una verità in quel rimproverare. C'era un obbedire ad una forma. Una forma che non era la sua. Che non lo riguardava veramente. Qualcosa di autoimposto. Forse mediato dalla compagna. Qualcosa che andava fatto. E in un certo modo. Niente, comunque, di vero. Niente che gli appartenesse davvero.
"Adesso devo andarmene (...) Se resto qui, fra un attimo avrò voglia di baciarti". Così dice la maestra Kate Swift al suo ex allievo George Willard. Quando questi realizza la proposta e tenta di farlo, lei dapprima gli si abbandona e poi si irrigidisce e lo prende a pugni. Tutto questo mentre il reverendo Curtis Hartman la sta desiderando, si sta perdendo in lei e, infine, si sta redimendo in lei, vedendo in lei la "forza di Dio". Tutto questo succede a Winesburg, mentre stiamo leggendo. Come ovvio sto parlando ancora di Anderson.
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