Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Cosa resta, cosa cambia, cosa resta, cosa cambia? Come un m'ama non m'ama. Sfoglio l'infinita lista delle possibilità e delle impossibilità. Te che non mi conosci e mi chiedi. Io che non ti conosco e confronto. Te che non mi riconosci. Io che so bene ma non so spiegare. Tu che mi conosci e non sai più chi sono e chi sei. Figurarsi io. Tu. Io, tu, io, tu. Tu.
Vivo e mi dimentico. Non mi ricordo. Certe cose pare che (mi) succedano sotto uno smaterializzatore. Non puoi negare che quella telefonata, quell'incontro, quel frangente sia accaduto eppure ha l'aria nebulosa e vaporosa che hanno i ricordi lontani. Forse sto vivendo in un ritardo di anni o in un anticipo. Non so. So che vivo senza presenza. Ero distratto mentre succedeva quello? O era quello a essere distratto, proprio quella cosa lì ad esserlo, distratta? Qualcuno di noi - io o le cose - ci siamo e non ci siamo. Preferisco credere che sia io. Faccio meno fatica e posso sperare che cambi ma, certo, anche le cose potrebbero fare meglio, no?! Eppure, alle volte, penso che molto sta accadendo di notte, nel sonno. Magari solo la compilazione, il completamento, la definizione delle cose che il giorno solo accenna, abbozza. Insomma: sto vivendo una vita onirica? Chissà. C'è vita nei sogni? Ora mi metto buono.
Aggiungo Non è un paese per vecchi (dalla felice penna, camera ecc dei Coen) alla mia lista di gioia cinefila. Una stagione felice. Che continua. Almeno tre - ora quattro - buoni motivi per essere stati felici in una stanza buia (comoda, scomoda, comoda e comodissima). La stanza buia=il cinema. Mi ha sempre entusiasmato l'abilità di quei registi capaci di passare da ritmi veloci a ritmi lenti (e ritorno) senza far sentire le scosse di assestamento. Mi viene da pensare che le scosse le abbiano riconosciute e attutite prima, creativamente, in fase di progettazione. E mi sembra davvero uno dei grandi (e più miracolosi) artifici della creazione. Una vittoria sulle regole aristoteliche. Una vittoria sulla facilità con cui dovrebbero procedere le storie ma anche una concretizzazione (a volte della metafisica) della verità oggettiva e soggettiva (la nostra percezione) del tempo. Una corsa, una fuga, un dum dum dum dum e poi...tutto rallenta. L'immagine che fissa la fine (e quella dell'epilogo, della morale, lo spazio antico del coro greco che riassume per parabola il senso della storia fin lì espressa) è lenta e quasi insufficiente a rendere la definitività, la conclusività. Come a dire che tutto finisce nella fine. Quasi dimenticando l'affanno dell'inizio e del prima. Tutto è destinato a concludersi in una messa in pensione del nostro agire, del nostro cercare, del nostro (s)fuggire la morte, il dopo che non sappiamo. Non è un paese per vecchi è tratto da Cormac McCarthy, libro omonimo (non letto). Per quel che ho visto in questa buia e comodissima stanza avrebbe potutto titolarsi "questo è un paese per morti" (o per morituri). Tutti i paesi lo sono e i motivi sono i più vari. L'idea (l'idea mia) è che i paesi per vivi (quelli per vivi davvero) siano i paesi per persone consapevoli della morte. Solo così un paese può essere un paese per vecchi.
Non facciamo niente di male. Non facciamo niente, soprattutto. Niente di male: tanto per dire, per giustificare. Stiamo lì, ognumo per la sua strada. Ognuno per le sue piste. Libri di mezzanotte, film. Non c'è nient'altro: solo una piccola disperazione (una disperazione serena, se ci pensi) in due estremi topici. Quella rassegnazione che viene a chi non ha da perdere nulla. Quella gioia che si autoproduce e non ha regole, non chiede scusa, non sente imbarazzo, non si vergogna. Non facciamo niente di male e lo facciamo bene.
Di Carvelli (del 29/02/2008 @ 09:40:29, in diario, linkato 1441 volte)
Andiamo per una strada che non conosciamo. Entrambi titubanti. Su chi guida. Su chi sceglie. Ci copiamo le parole come accade quando nessuno ha parole sue. Ripetiamo le frasi dell'altro. Di me dico poco. Di te dici poco. E' questo che ci protegge: non sapere...o meglio sapere che non ci basta più quello che abbiamo pensato e detto negli anni. Siamo bianchi. Sì, bianchi. Siamo senza parole e senza inchiostro. Non poteva esserci momento migliore per non dirci nulla.
Di Carvelli (del 28/02/2008 @ 15:19:41, in diario, linkato 1325 volte)
SECONDO CIELO. Tilia
"Ancor prima che il nostro amore prenda un nome, amiamo. Vi ha una età, che in alcuno confòndesi colla infantile, in cui l'ànima, anelante di congiungersi ad altra e non trovando chi incontro le venga, dona parte di sè perfino ad oggetti della natura inorgànica, i quali, sotto il suo soffio, si fanno quasi sensìbili: non potendo raddoppiarsi, si divide. Adelàide Maraini, dalla mano che sculpendo pensa, ha espresso plasticamente questa età, questo sentimento, in un gruppo di marmo “la preghiera a Vènere.” Una giovinetta sedicenne, in cui il succhio vitale pulsa in tutte le vene e ne inturgidisce le mammelle e le labbra, accorre, si aggrappa ad un'erma di arcàica divinità, tagliata a rette ed a spìgoli. Nulla più appassionato e carnale della fanciulla; nulla più indifferente e petrigno del simulacro che essa abbraccia: eppure, il masso, a contatto dell'amore, diventa amore, e assume le sembianze di Vènere. Col vuoto dinanzi a noi, senza scopi, il nostro desiderio si perderebbe negli spazi: un velo, un'ombra, un sogno, che esso trovi sul suo cammino, bàstano a trattenerne la dispersione e a rèndercelo come un'eco, come un riflesso". (...)
Di Carvelli (del 27/02/2008 @ 16:25:00, in diario, linkato 1369 volte)
Dopo mesi di film senza piacere finalmente cambia il vento. Segnalo la preziosa (qualche volta leziosa?) iconografia '60/70 di American Gangster (perfezione nella creazione, soluzioni dove forma ed effetto concorrono a risultati di scuola), il sogno-fiaba triste della Satrapi in Persepolis. Sublime. E la genialità emotiva ma sobria de Lo scafandro e la farfalla. Il cinema è bello sempre :quando è bello e quando è sublime. Anche quando è brutto alle volte rischia di essere bello. Ma questi tre casi sono casi senza rimpianti. Il film dalle strisce della fumettista iraniana trascina in un universo parallelo semplice (dai tratti semplici) capace di raccontare e disegnare molto, al di là delle linee. Anche essere nel punto di vista del protagonista di Schnabel aiuta a costruirsi un senso diverso della malattia, della diversità e soprattutto della tragicità, del dolore che incontra la morte.
Di Carvelli (del 22/02/2008 @ 11:49:28, in diario, linkato 1405 volte)
Fai un miracolo, dicevo. Ma a chi? E il miracolo era che lo dicevo, che lo chiedevo. Quello era il miracolo.
Di Carvelli (del 21/02/2008 @ 15:23:30, in diario, linkato 1417 volte)
Alla fine era una situazione così. C'era molto da fare e molti che facevano. Ma niente si poteva fare quindi tutti facevamo cose inutili o poco. Siamo così. Indaffarati in cose di poca importanza e renitenti a qualsiasi cosa veramente necessaria. Perché in definitiva non esistono cose importanti - intendo "veramente importanti". E, viceversa, c'è veramente poco da fare per le cose necessarie, definitive.
Di Carvelli (del 20/02/2008 @ 14:34:55, in diario, linkato 1409 volte)
Metto un punto Su questo foglio bianco Dove avevi già scritto E poi cancellato Tutto tu. Aggiungo un segno semplice, Il più semplice. Scolorirà in un giorno. Guardo Questo inverno-primavera In cui ci diciamo addio. Guardo il posto che ti è stato assegnato Dalla sorte bracciante Per sprofondare nel futuro. Mi dico che niente sarà più uguale a niente Ora che ci siamo ritrovati In quest’assenza numerosa E che domani ti farà piacere Sentire fumare il mio caffè.
Roma, 15.II.2008
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