Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 26/07/2004 @ 07:32:08, in diario, linkato 1080 volte)
PIPO PIPA AAAARRR
Non ho visto Francesca con la pancia. Né al primo figlio né al secondo. Francesca è magra, ossuta, alta. Forse la pancia l’avrà portata come una maggiorazione tutto sommato contenuta. Non ha fatto come quelle donne che si gonfiano a scoppiare salvo poi rientrare nella normalità come se due o tre chili occupassero metri e metri quadri della piccola casa provvisoria di una mamma.
Francesca è nata a Roma da genitori romani. Qui ha studiato scienze politiche e ha vissuto. E qui ci siamo conosciuti. Ma da qualche anno si è trasferita a Parigi dove vive, dalle parti del Pare Lachaise, con il suo compagno e i figli che dicevo. La casa è piccola. Quaranta metri quadri da dividersi in quattro. Se si escludono il bagno, un cucinotto angusto e un ripostiglio, ad ognuno spettano poco più di sette metri quadri. In realtà quando io sono stato a trovarla ho percepito una inconsueta dimensione spaziale dalla quale sono ritornato rinfrancato riguardo ai miei trenta metri quadri stipati attorno alla solitudine e, tornando, ho preso ad agganciare alle pareti mensole e libri, pensili e armadi di stoffa facendo della casa un parallelepipedo in arrampiacata. Un andare in verticale che lotta contro la banalità didascalica della legge di gravità a predisporre una piccola astronave per viaggi interstellari che mi faccia dire che nei miei anni qui non avrò mai a lamentarmi dell’assenza di alcunché, che sopravviverò alle carestie e al dolore che ti serra in casa.
Quando sono arrivato nella piccola casa vicino a Place Gambetta – le indicazioni e la mappa che mi aveva inviato per posta elettronica erano precisissime – e ho salito le scale di legno e moquette mi sono trovato i due marmocchi davanti insolitamente festosi. Insolitamente per la scarsa dimestichezza con me – il grande, quattro anni, non poteva ricordarsi di avermi conosciuto più di tre anni prima, il piccolo, di due, non mi aveva mai visto – mi sono ritrovato a giocare prima con uno e poi con l’altro.
Come giocava il grande.
Mi passava dei grandi fogli di carta per costruire un avion, un aeroplano. Che poi piegato finiva per attraversare in lungo e in largo, si fa per dire, la piccola casa francese di Francesca. L’avion si perdeva e bisognava piegare un altro foglio che si perdeva. Il tutto in quaranta metri quadri. Dopo i due o tre primi fogli l’avion ha iniziato a chiamarsi aereo in onore del costruttore. Ho piegato dieci fogli e fatto volare quattro avion/aerei e alla fine i miei di avion/aerei erano i più richiesti degli avion/avion o avion/aeroplano del marito di Francesca che è spagnolo una lingua che per quel pezzo si carta piegato proponeva due parole-calco francese o italiano.
Come giocava il piccolo.
Prendeva un grosso libro illustrato e si sedeva vicino a me per sfogliarmelo davanti, girando con ritmo regolare i fogli e interpretando con facce e versi le figure. PIPO e PIPA erano le ambulanze, le gru, i camion dei vigili del fuoco e altri mezzi di lavoro che da quanto ho capito anteponeva in ordine alla preferenza a qualsiasi altra forma di trasporto. Un bimbo-operaio poco convinto della mollezza delle belle auto decappottabili o forse un futuro pompiere. Se compariva un mostro – una figura dall’aria minacciosa, meglio – il piccolo lanciava un AAAAARRRR digrignando i dentini mentre se il volto successivo rappresentava una figura più quieta e rassicurante scoppiava in una risata.
Bisognerebbe calcolare la diffidenza dei bambini e la loro familiarità con gli altri come se fossero coefficienti, forse aiuterebbe la conoscenza di questo mondo così misterioso che ha regole che non ricordiamo e che negli anni tendiamo a crederne privo. Superato lo choc dei risvegli del primo mattino, quelli ombrosi che precedevano la colazione ai piedi del mio letto e la preparazione per la scuola, mi sono ritrovato ad iniziare la giornata costruendo aerei e sfogliando PIPO PIPA AAAARRRR entrando in un mondo fatto di magie e di comunicazioni misteriose. In questo mondo ogni parola aveva molti significati e molti oggetti avevano tre parole. Il figlio più grande di Francesca infatti nominava gli oggetti in italiano spagnolo e francese, senza alle volte rendersi conto di chi fosse il suo interlocutore. Se il padre, spagnolo, se la mamma, italiana, se la classe del suo asilo e quindi dovesse ricorrere alla lingua della città. Io, inatteso, dovevo ancora essere registrato come parlante italiano così ero interpellato nelle tre lingue e in base alla mia faccia perplessa assecondato nella lingua comune ma non senza una specie di black-out momentaneo. Fin circa ai due anni – gli esperti suggeriscono esserci una certa normalità in questo – il piccolo dei due aveva faticato a trovare parole significanti. Circa quattro mesi dopo la mia visita so invece dalla mail allegra di Francesca essersi sciolto quel linguaggio personale fatto di PIPO PIPA AAAARRRR e che il piccolo ha iniziato a parlare. In francese. Per ora. Ma, al momento in cui scrivo, sono sicuro che la tavola sinottica delle tre lingue anche sul piccolo abbia trovato il suo felice utilizzo. Da quanto risulta molti psicologi dell’infanzia parlano in termini entusiastici del trilinguismo e crescono gli esperimenti di triplo insegnamento della lingua specie in quelle regioni a statuto speciale bilingue con una lingua minoritaria e un'altra veicolare, tipo l’inglese. Francesca, che già si era preoccupata, si era poi tranquillizzata alle rassicurazioni di un pediatra che sosteneva avrebbe all’improvviso iniziato a parlare tutte insieme. Tutte e tre. Ma nel momento della mia visita il piccolo e affettuoso bambino della mia amica si produceva in espressioni sonore e discorsi senza nessuna tramatura di senso. E’ un momento bellissimo che poi, se uno ci pensa, non torna a parte se strilli, se ti lasci portare dal piacere, se provi a dire cose in lingue che non conosci o se, appunto, tenti di parlare con i bambini con una ridicola imitazione dei loro versi che per lo più, e più spesso hanno il senso preciso di un’onomatopea, anche se oscura. Doveva essere così anche per PIPO PIPA, il suono delle sirene e dei clacson spiegati del pronto intervento. E ancora più sicuramente per quell’AAAARRRR. Il mito non è l’esperanto quindi né il latino pontificio ma i suoni che fa un corpo e gli sforzi che può fare un’ugola per trascendere le difficoltà della comunicazione. A Belfast, mi ricordo di me, ventunenne, inseguito di piano in piano in un pub su più livelli e poi in fuga per i viali della città nord-irlandese da due che mi avevano rivolto parole che non avevo capito. Erano parole minacciose? Non saprei dire. L’aria era minacciosa e avevo preso a scalare quel pub appartamento a più piani e poi a riscenderlo e fuggirmene per le strade che presto avrebbe animato una tradizionale (ero lì per quello) manifestazione dell’IRA. Quello, con altri episodi di incomprensione linguistica in giro per il mondo o in Italia, e con pochi fortunati incontri (ma qui il campo si amplia) con animali costituiscono alcune delle esperienze più importanti in questo piccolo bagaglio che mi porto appresso. Sono esempi rari e sparsi nel tempo, altre volte sono sogni ad occhi aperti fatti di paura e tensione che mi fanno immaginare in luoghi lontani da qui dove tutti ti parlano una lingua che non sai. Alle volte mi addormento pensandomi in un villaggio della Siberia o in qualche montagna dell’Iran o della Georgia ed è un brivido che mi corre lungo la schiena, lo stesso, ma più allegro, di quando un bambino mi dice dei suoni che hanno senso per lui ma non per me. Ma è in quei momenti che il brivido si fa più sottile perché mi viene da argomentare che nessuno di quei versi proveniente da quella bocca piccola può essere frutto di uno studio ma piuttosto di un ascolto diverso di cui, con uno sforzo di annullamento, potrei dotarmi anche io come riniziando un processo di cui non sono più tanto convinto.
Ho scritto un racconto per questa manifestazione...a tutt'ora non mi è dato sapere se è stato letto. Le cronache sono molto confuse...si parla di programmi scritti e di attori che improvvisano...Insomma è probabile che il racconto scritto per l'occasione non sia stato letto. Ma che sia stato scritto lo giurerei...anzi LO GIURO come disse la Mamma di Cogne. Va beh...domani lo posto per il sito...ve lo leggerete almeno voi...
Ancora qui di corsi in corsia...non c'è sabato o domenica che tenga ...e neanche il caldo che tiene tiene...intanto caccia all'uomo...e intanto stasera o domani a Palermo leggono anche un mio racconto che domani magari pubblico.
1870. Non è un romanzo WuMing. Neppure un piccolo test storico per gli amici che preparamo l'ammissione a qualche facoltà nuova....(che bello dicono che a Milano sta piovendo...beati!!!! e a Roma chiudono la metro per la caccia all'uomo...a tranquillizzo tutti...mi sono tolto un po' di pelle dal corpo per vedere cosa c'era sotto e la moto sta come è sempre stata...acciaccata...la testa? Boh...ma pure prima...)
1870 è l'ultimo dato de l'Ostile...chi mi conosce (mi evita?) lo sa cos'era l'Ostile...
era questo
ovvero una rivista che andava (andava) in edicola ma ora è stata ritirata per mancanza di avvicinamento al punto di pareggio dei costi industriali. E che vor dì? WuMing. Vor dì che se vendeva 2.400 l'editore la faceva ancora (che poi è l'amicone Coniglio) e invece 1600/700 THE FIRST, 1000 il secondo e qui Coniglio tuonava (ma che so scemo!) mo' arriva il terzo...i dati del terzo ed è un anata buona (si fa per dire) 1870. Che vuor di'? WuMing! Tutto rimane com'era tranne che per me e Dario che rosichiamo pensando ad una crescita e che tutto sommato nenache insieme facciamo 1870 amici...quindi...qualcuno ci leggeva oltre a mamme papà (ma comprato un numero!!) e i ziii...vabbe...WuMing
Le avvenure proseguono su
www.lostile.org
http://danielagambino.splinder.com/
Mai più consigliare film ad alcuno. E occhio ai film che ti consigliano. Come sono transitivo stamane. E dire che oltre ad essere transitivo sono scampato ad una caduta in moto con due o tre escoriazioni, un po' di doloretti e il vestito macchiato. Ci posso stare. Ma torniamo a ieri sera. Cinema. Odddiiiiooooo. Con tutto che eravamo accompagnati da una serie smisurata di consigli elogiativi con D. andiamo a vedere PRIMA DI MEZZANOTTE. Ragazzi... impressionantemente brutto costruito falso mal recitato e dire che il regista è Ferrario...che cosa salvare alla fine...una patatissima Inaudi, una location da paura, le musiche (tra gli altri una marcetta di Sepe). E vabbè...per 2euri...
Caro diario
cosa ti dico? Che ieri c'era un bel po' di gente tutto sommato s'intende commisurata a noi e cioè 30 persone stimate con altre 4 o 5 in giro per la libreria che ho visto dopo. Che per una presentazione non è male. Che c'era anche il mio (inconsapevole) barbiere di venti anni fa che mi ha detto "hai spaccato una formica in mille pezzi" (mi piacerebbe farci una IV di copertina...invece di mettere i giudizi del Corsera...lettori comuni). Che Mattatoia non è venuta ma c'era una sua amica. Ch c'era il danielone in riappacificazione e .it con un 110elode tra capo e spalle (sul collo non ci stava tutto). ma soprattutto che Carola Susani
è stata superlativa nell'analisi critica... Ha chiamato a raccolta idee tra tutta la letteratura e mi ha messo addosso classicismo serialità circolarità. Tutte cose che spero di portarmi dietro per un bel po'. Spero.
Ecco è uscito! E' il libro del mio amico. E' il libro che non dovete perdere anche perché c'ha bisogno di soldi e voi compratelo così adottate a distanza uno dei più interessanti sceneggiatori attivisti politici scrittori in circolazione. Lui dice che non sa cosa sia...io dico che è tutto questo e anche di più. Per me è un grande. L'Ostile senza di lui non si sarebbe fatto...io ci mettevo solo il nome sperando che vendesse di più e invece ha chiusso...magari se levavamo il mio nome esisteva ancora... Del libro dico che a me piace un sacco il racconto London e meno il jamesiano gothic ecc. Ma la grandezza di DM (decreto ministeriale) è il suo igunismo lucertolismo gechismo...ora basta andate a comprarvelo!
(messaggio promozionale)
Mentre rinnoviamo l'invito alla presentazione di LETTI stasera alle 21,30 alla festa dell'Unità (a Roma) ex Magazzini Generali con Carola Susani (non Susan come vedo scritto su Messaggero e Corsera) mentre...che facciamo? Poco altro. Io mi sveglio alel solite 6e30 per scrivere il mio seguito che stavolta è invece uan storia nuova o seminuova che già interessò, lavoro e continuo il mio pellegrinaggio ospedaliero. Estate (sei calda come i baci che ho perduto) che si profila romano centrica (o saltuariamente dove capita...Umbria di sicuro dall'amica Etain, quindi il letto di Pratale... ma anche Genova boh vedremo chi mi tollera) e clinica. Insomma st'estate si scrive di brutto e vedremo che succede. Intanto uscirà il libro Roma, prima, magari non si saprà.... lo diremo a settembre con più chiarezza come il governo balneare che ci manderà in vacanza con tante (in)certezze. Per poi farci morire di dolore...Estate
Questi sono i letti degli studenti del centro Anami e di Luigi La Rosa che li incoraggia coordina e segue con grande attenzione e passione.
Il sedile del pullman
Sicilia-Roma
Il mio è un letto in movimento. Ha ruote e non piedi, corridoi e non lenzuola. E’ letteratura senza parole, pagine di sonno.
Il mio letto taglia come una lama paesi sentieri città. E’ un letto nella notte, il cielo addosso come un graffito di diamanti o una sbavatura d’inchiostro.
Il mio letto lascia un’isola perché ama di più i perimetri, gli spigoli rotti, i nascondigli frastagliati dell’esilio.
Un letto che corre a ottanta all’ora da un paese all’altro, congiungendoli come una linea letta, ma la sua traiettoria bacia la curva, l’arco breve delle ore.
Ci si sale in tanti, ma si sta meglio in pochi. Un letto dove non si parla, non si legge, si dorme semplicemente, lasciando che il tarlo della notte addenti i secondi.
Un letto scomodo, politico, maledettamente impreciso, un letto fatto per corpi di ragazzo che odorano di sigarette, caffè insapori, autogrill dimenticati.
Un letto dove chiudere gli occhi insieme a chi ti somiglia ma non avrai mai il tempo di scoprirlo. Per chi è come te ma non ci sarà occasione di raccontarselo.
Un letto per l’anima che strappa anima. Un letto amico, nemico, diario ortodosso della tua biografia perennemente apolide. Su di esso imparasti, inospitale, la vita: faticosa l’algebra dello strappo, amaro il pedaggio dell’esser liberi.
Luigi La Rosa
Letto
Cara amica ti scrivo mentre faccio il chilo a letto.
Il pensiero impazza. Un chilo con un etto?
Matematicamente sei uno sballo. Forse è un modo per fare la cresta alla spesa oppure un orgasmo da lettura con effetti climax.
In fondo, anche fachiro potrebbe essere una forma sincopata di chiromante se non fosse un sadico su un letto acuminato.
Oddio, adesso ho capito!
Per favorire la digestione schiacci un pisolino dopo aver mangiato.
Nunzia Conte
Letto n.1
E poi come dimenticarsi quel letto. Come quale? Quello. Quando dico quello è quello. Non può essere che quello. Il letto dove ho fatto l’amore per la prima volta. Capite bene poi, che quando la prima volta coincide con l’ultima, quello non può essere che quello. Sì, vabbé, battuta vecchia, scontata. Vera però. Io non sono uno di quelli che ci gioca su a buttarsi giù. Vorrei con tutto me stesso non fosse così. Ma tant’è. Centrifuga sensoriale tapparelle tirate pulviscolo sensuale capezzoli turgidi battito fuori controllo umidità paradisiaca odore di buono lenzuola fresche cuscini chissàsec’erano lingua orecchio pelle su pelle voragine tattile peli cazzo figa vittoria vittoria vittoria. Eh sì, mi piacerebbe proprio ripeterlo. Non fosse altro che per fumarmi la sigaretta dopo. Ancora non fumavo, all’epoca.
Letto n.2
Il letto dei fiume. Il mio letto dei fiume. Quello d’acqua. Il più comodo e scintillante della mia vita. Anche se il fiume in questione è il Tevere. Non importa. Quando prendevo la canoa e andavo. Non importava nulla. Scivolavo sul sangue dell’arteria principale di questa città senza cuore. Non saprei dire se lo ha perso o non ce l’ha mai avuto. Non saprei. So che quando stavo lì a darci giù di pagaia l’indifferenza, l’arroganza, la volgarità di questa gente che si crede millenaria e non vale neanche un minuto, non esistevano. Non erano mai esistite. Gli schizzi d’acqua sporca che sollevavo le ricacciavano nelle loro case tranquille, ammantate d’eternità. Anche se non avevo il sole in faccia. Anche se le nuvole coprivano tutto. Era bello. Era proprio bello.
Letto n.3
Vi hanno mai cagato sul letto? Sì, avete capito bene. Gradirei sapere se qualcuno si è mai tolto lo sfizio di defecare sul vostro materasso. A me è successo una volta, in vacanza, due estati fa. Mi trovavo in un villaggio turistico a Torre dell’Orso, in Puglia. Nella discoteca del suddetto villaggio io e due amici miei ci siamo trovati a discutere animatamente con due nostri coetanei, che mi accusavano di aver fissato con insistenza e una certa dose di lussuria nello sguardo il culo di una loro amica. Io mi sono difeso, adducendo come parziale scusante il fatto che fissavo con insistenza e una certa dose di lussuria nello sguardo tutti i culi di tutte le amiche di tutti, lì dentro. Capite bene, in quel periodo, le prime due settimane d’agosto, il villaggio era riservato a ragazzi e ragazze che dovevano frequentare il quarto e quinto anno di liceo. Capite bene. I culi delle ragazze, intendo. Insomma i due tipi passarono dalle parole ai fatti e si accese una colluttazione. Non molto violenta, per la verità. Né molto lunga. Eravamo tutti e cinque piuttosto alticci. Diciamo pure ubriachi lessi. Fatto sta che gliele suonammo. Fatto sta che i buttafuori ce le suonarono a noi. Fatto sta che una ragazza con la quale mi ero appartato la sera prima, fece la spia. Fatto sta che quei due bastardi erano bravi scassinatori. Fatto sta che mi hanno lasciato due stronzi di discreta misura sul lenzuolo. Fatto sta che poteva andarmi peggio. Potevo trovarci loro due che dormivano abbracciati.
Alessio Di Martino
TELO DA MARE
È il letto più atteso. Quello che sogni nelle giornate invernali o al lavoro quando, arrivata al culmine dello stress, fai il conto alla rovescia per le vacanze estive.
Nel momento in cui scatta l’ora x, lo stendi con orgoglio sulla sabbia. È l’unico dove puoi stare sdraiata per ore senza avere l’influenza.
È quello multifunzione, dove fai praticamente tutto: leggi un libro, riempi i cruciverba, ascolti il walkman, prendi il sole, ti asciughi dopo il bagno, fai la siesta.
Questa è la versione diurna. Ma c’è poi quella del falò, del bagno di mezzanotte, degli amori estivi, delle stelle cadenti.
In genere è la parte che si ricorda di più ma si racconta di meno. Almeno per quanto mi riguarda. Poi arriva il momento in cui il ricordo si trasforma in rimpianto. Allora capisci che stai invecchiando e quegli istanti non torneranno.
Dici che in fondo sei cresciuta e preferisci un altro tipo di vita notturna. Ma ti sorprendi ad abbellire gli eventi, a miscelare emozioni e sentimenti alla realtà, fino a sentire gli occhi lucidi per il racconto di quegli anni. Inizi a chiederti cosa sia davvero accaduto in Sardegna, durante quelle notti che hanno segnato la tua giovinezza. Il bello è che non riesci a trovare una risposta.
Ogni tanto apro l’armadio e guardo la pila dei teli da mare: sembra un album di fotografie.
Turchese, rosso, blu, verde, arancio. A una piazza, matrimoniale, striato, a pois, con le stelle marine.
Anche se sono consumati e scoloriti non ho il coraggio di buttarli. Ognuno di essi ha una storia, un profumo, un volto, un nome. Spesso le storie si intrecciano l’una all’altra, ma il nome è sempre lo stesso. Alcuni non hanno storia. Quelli, però, li ho lasciati a casa dei miei genitori.
SOTTO LE STELLE
Era la prima volta che dormivo all’aperto. Il gruppo che era con me, invece, l’aveva già fatto. Avevo accettato perché si trattava di una sola notte. Non sono il tipo che si adatta facilmente, ma mi eccitava l’idea di vivere qualcosa di nuovo. Ogni tanto ci vuole un diversivo per rompere il solito tran tran.
Così a ferragosto, con escursione termica e tasso di umidità vertiginoso, mi accingo a sdraiarmi su un prato. Dentro il sacco a pelo, ovviamente. Senza questo mi sarei rifiutata.
Era blu, soffice, caldo. Contrariamente a ciò che mi aspettavo, molto comodo. Avevano scommesso sul fatto che non avrei chiuso occhio.
Invece sono l’unica che ha ronfato profondamente tutta la notte. E ora i miei amici dovevano pagarmi la pizza. Fino a questo punto, ero talmente entusiasta da esser pronta a ripetere l’esperienza.
Ma nel pomeriggio ho iniziato ad avere mal di gola, seguita da febbre alta e bronchite. Insomma, per farla breve, ho trascorso due settimane chiusa in casa a imbottirmi di antibiotici e aerosol: una vera tortura.
Ricordo che in quei giorni mi ha chiamato Nicola, un ragazzo romano davvero simpatico. La prima cosa che mi ha detto è stata: “Se ‘e botte de vita te fanno st’effetto, lascia perde!”.
In quel momento mi ha dato fastidio.
Ma a pensarci bene, credo avesse ragione.
Claudia Mereu
UN LETTO SUDATO-1
Avevo imparato la teoria ma non la pratica (avrei avuto bisogno di un corso come quelli che tiene il cavaliere nella sua villa ad Arcore, mi consenta cavaliere, cribbio mi dia una mano!) Sapevo che un vero capo carismatico per essere tale aveva bisogno di tanti segugi che lo adorassero e fossero pronti a seguirlo sempre e comunque. Ma nella pratica succedeva sempre che io venissi interpellato per ultimo e solo quando nessuno sapeva cosa fare, neanche io. Quella sera Gigi sapeva bene cosa fare e dove andare. Bisognava imbucarsi in una festa privata,
lì io e gli altri amici ci saremmo ubriacati e divertendoci avremmo messo tutto sottosopra a cominciare dalle invitate, femmine sempre pronte e vogliose( pensieri estrapolati da ormoni pronti all’esplosione). C’imbucammo in una palazzina nuova al quartiere Eur, secondo piano, svastiche disegnate sulla porta dell’ascensore. Invitati tutti molto distinti e precisini. Un paio di questi imbecilli si continuavano a fare il saluto romano e ci guardavano con l’aria di chi ci voleva solo spaccare la faccia. Le invitate erano molto…carismatiche, almeno su di me ce n’erano due che esercitavano un grande carisma con i loro davanzali in bella mostra e le loro mele lucenti e visibili vista la trasparenza dei pantaloni bianchi e i loro perizomi.Questa volta le femmine si dimostrarono poco inclini ai rapporti interpersonali intimi e gli amici dopo aver capito che non sapevano cosa fare m’interpellarono e io dissi aspettiamo e vediamo come va. Quando fummo ubriachi come delle spugne ci buttarono fuori a calci mentre noi gli urlavamo che erano solo delle cagne in calore
( veramente erano molto fredde) e fascisti del cazzo.
Gigi, comunque, era riuscito a piazzare tutti i suoi cento grammi di fumo
( ma come, non erano i fascisti quelli che dicevano che l’erba è roba da conigli?) che significava soldi per continuare a bere la notte. Dopo l’ennesimo bicchiere di grappa( grappa?…Si mi sembra fosse grappa)cascai a terra in stato di totale incoscienza.
Il tempo dice il nostro nome, lo scandisce con molta calma. A volte ci rende corridori inconsapevoli, più spesso simile ai bradipi per godere del dolce far nulla. Allora il tempo smette di essere carogna, infame dentro e comincia ad essere ciò che noi vogliamo che sia, un compagnone, sempre pronto a burlarsi di tutto e tutti e anche e soprattutto di se stesso.
Sono cascato in un vortice. Una strana sensazione di paura mista a curiosità.
Un letto a una piazza e mezzo, ancora un bacio, poi lei si volta dall’altra parte e subito si addormenta notte luna silenzio.
Notte…luna…silenzio…
Un casolare in campagna, l’erba del prato appena tagliata, tanti fiori colorati, papere e galline, cani e gatti. Un pozzo in mattone, una vita tranquilla. Lei dà da mangiare ai cani. Lunga gonna a fiori, maglietta bianca. Lui è poggiato su una vecchia quercia, jeans stropicciati, maglietta bianca con la scritta bastardo dentro, una piccola margheritina in bocca, sorriso stampato. Hanno un figlio psichicamente menomato dalla nascita ma sono due mesi che è sparito. Dal pozzo stanno uscendo, a migliaia, tanti piccoli vermetti bianchi.
Angelo il pazzo del paese quel giorno prese un treno. Arrivò in città. Per le strade la gente scappava inseguita dai celerini, un puzzo di gas lacrimogeni, alcune ragazze erano costrette dai carabinieri a cantare faccetta nera, una mamma veniva picchiata a sangue davanti alla sua carrozzella, il bambino lanciava urla disumane. Chi veniva preso era fortunato se veniva solo picchiato e torturato, con tanto di fotografo pagato per le foto ricordo di rito. Massacrati nel nome dell’ordine costituito. Angelo scappò, scappò più veloce che poteva poi cadde sulla sabbia, si rialzò, ricadde in mare, guardò il cielo, vide una nuvola sorrise e quel sorriso fu per sempre.
- Ma cosa cazzo mi sono preso stanotte?
C’è Luisa stesa su un prato, è bellissima, cazzo è completamente nuda e mi chiama. Corro verso di lei e penso che farò come fece Nanni nel film Bianca, mi butterò sopra di lei. Arrivo e inciampo su l’unica pietra presente in quel prato, casco sbattendo la faccia a terra e quando mi alzo Luisa non c’è più. Ma guarda che cazzo di sogni…
Questo vortice ritorna, ancora qui e non mi interessa più sapere niente, non ho domande e non ho risposte e sento che un bastone mi prende a mazzate la testa, ma che succede?
- Sandro che fai? Perché ti sei addormentato tutto nudo steso sul pavimento al centro della stanza?
Colloqui di sonno-2
Er Gran Fio stava di colloquio quel giorno, si era sbarbato, vestito di tutto punto, improfumato, impomatato, niente anelli e catenine, solo un piercing al naso, addirittura la cravatta che lui ha sempre chiamato il nodo scorsoio.
Entra nella stanza, c’è una sedia e uno strano computer che parla e sputa fogli e matite. Con la matita deve scrivere il suo curriculum vitae: scippatore, spacciatore, gigolo, otto anni di rebibbia per furto con scasso e tante altre piccole cosette di questo genere. Er Gran Fio scrive tutto, non tralascia niente. Poi prende il foglio e lo rimette nel computer, ma il computer non lo accetta dice che c’è un errore. Lui ricontrolla e poi lo rimette nel computer, ma il computer continua a non accettarlo. Dopo mezz’ora di tira e molla si stanca e si addormenta sulla sedia.
Orario di chiusura, entra un impiegata:
- e lei cosa fa?
- Ioooo?…nieeente.
- Come niente, lei sta dormendo nell’ufficio adibito ai colloqui, come si permette?
- Iooo? E mica corpa mia, sto computer der cazzo è rotto, io so venuto pe lavorà.
- Guardie, guardie, per favore chiamate le guardie!
- Aò a guardie ma che cazzo fai? Ma o voi sapè che c’è? Annatevene affanculo te, le guardie, sto computer de merda e st’azienda de ladri.
L’ho sempre detto io che è meglio annà a rubbà che fa lo schiavo in un posto de merda come questo. Io sarò pure Er Gran Fio ma qua de gran fii ce n’è a josa.
Alessandro Piragino
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