Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
C'è un genere di serata in cui i protagonisti non hanno ruoli vincenti. Come se non ci fosse un superiore o un inferiore. Neanche ruoli perdenti, quindi. Sono serate che passano meglio delle altre. Chi va lascia a chi resta sempre il beneficio di un ancora.
Solo chi fa sa. Gli altri ne parlano. Gli altri non sono d'accordo. Gli altri si lamentano. Un cane randagio si bagna, puzza di grasso e deve cercare un albero sotto cui ripararsi. Una giornata a un'altra segue come se fossero uguali. La speranza fa bene a chi rischia. Il supremo è semplice. Il superbo ha un meccanismo a vista. Il calcolo ha una tara che prima o poi si mostrerà, un errore di sostanza mascherato da una forma invitante. Guarda al concreto. Guarda all'essenziale. Non essere un altro. Non essere chi non sei. Non cercare di essere un vincente. Scegli di essere chi può anche rischiare di perdere.
Rimango in attesa di qualcosa che (so che) non verrà. Ecco la mia particolare forma di evanescenza. Ecco il mio disincanto operativo. Essere per non. Non avere. Non sperare. Così, da tutto questo, il nuovo può arrivare e andare. Senza un permanere di delusioni, di sbadate sviste. Un gioco che so fare, un campionato a cui posso partecipare. Chi è invitato di solito si diverte. Perché questo è uno sport per tutti. E io non sono un campione ma un buon giocatore. Uno che non vuol vincere a tutti i costi. O, peggio, stravincere. Ma solo uno che si vuole divertire insieme a qualcun altro. Rimango in attesa perché so che qualcuno giocherà.
Solitudine
Che vergogna andare al cinema da solo senza un amico, senza un'amica, senza moglie, là dove tutti gli spettacoli sembrano tanto brevi e tanto lunga la loro attesa.
Che vergogna in questa interiore guerra dei nervi davanti alle coppiette beffarde del foyer in un angoletto, tutto rosso, masticare un pasticcino, come se ci fosse di che restar confusi... Noi, fuggendo la solitudine e l'angoscia ci buttiamo in qualsiasi compagnia, e così degli obblighi che fanno schiavi di amicizie senza senso ti perseguiteranno fino alla tomba.
Le amicizie si formano in modo assurdo: gli uni si danno al bere senza una ragione, gli altri non sono interessati che ai fronzoli e alle donnacce, e c'è pure chi sembra occupare il tempo in discussioni astratte, ma di fatto si somigliano tutti tra di loro... Molte son le forme della vanità! O l'una, o l'altra chiassosa compagnia... Non saprei a quante di queste io sia riuscito a sfuggire!
E come caduto in un nuovo tranello, sono riuscito a sfuggire, lasciandovi il pelo, sono sfuggito! Mi sei dinanzi, vuota libertà... Perché diavolo mi sei necessaria! Mi sei cara e insieme odiosa, come una moglie non amata e fedele. E tu, amata mia, come stai tu? Ti sei liberata delle tue vane preoccupazioni? A chi adesso appartengono i tuoi occhi strabici e le tue bianche, splendide spalle? Pensi certo che io mi vendichi, che in qualche parte mi precipiti in taxi, ma se anche lo facessi dove scenderei? Eppure non potrei liberarmi di te! Con me le donne si rinchiudono in sé, perché sentono d'essermi ora del tutto estranee. Abbandono la testa sulle loro ginocchia, ma non a loro, a te appartengo... Or non è molto sono stato da una in una brutta casupola di via Sennàja. Ho appeso il paltò a un misero attaccapanni. Sotto un abete spoglio da un lato, con le lampadine fioche, rilucendo con le sue pantofoline bianche, sedeva una donna, severa come una bambina. Avevo così facilmente ottenuto il permesso di venire, che ero sicuro di me e troppo inebriato, come oggi si usa e le avevo portato non fiori, ma vino. Ma tutto apparve molto più complicato... Ella taceva e modestamente due goccette trasparenti, due orecchini, brillavano sui suoi lobi rosati. E, come sofferente, guardandomi confusa, sollevando il suo corpo di fanciulla, mi disse con voce smorzata: "Vattene... È meglio di no... Lo vedo, non sei mio, ma suo..." Mi amava una ragazzetta dalle maniere rudi, da maschiaccio, con un ciuffetto sbarazzino e gli occhi trasparenti, pallida di paura e tenerezza. Eravamo in Crimea. C'era di notte un temporale e la ragazzina al bagliore dei lampi mi sussurrava: "Mio piccolo! Mio piccolo!" e mi copriva gli occhi col palmo della mano. Intorno tutto era spaventosamente solenne, il tuono e il gemito sordo del mare, quando all'improvviso ella, con una lucidità tutta femminile, mi gridò: "Non sei mio! Non sei mio! » Addio, mia amata! Io sono tuo, cupo e fedele, e la solitudine è la più fedele di tutte le fedeltà. E non importa se sulle mie labbra non fonde più la neve d'addio del tuo monchino. Grazie alle donne belle e infedeli per tutto ciò che è durato un istante, per quell'addio! che non è un "arrivederci!", perché, fiere come regine nella loro menzogna, ci regalano delle dolci sofferenze e i magnifici frutti della solitudine.
Evgenij A. Evtusenko
Che si fa del poco tempo che ci rimane? Di quegli istanti in mezzo al tanto che hai da fare e al poco che vorresti? Oggi per essere un blog di servizio vi do i miei buoni consigli. Tosare il prato (lasciando una fascia di erba lunga), condire l'insalata (poco aceto, prego), leggere le scritte sugli autobus (c'è scitto BUDDA BUDDA in mezzo a BREDA), guardare le donne (o gli uomini) dal tavolo del bar (ascoltando i loro discorsi), cucinare torte, mangiare torte, finirne i resti, salutare con la mano, svegliare le papere (per chi le ha) e rincorrerle (per chi se le trova a tiro), carezzare un gatto (se gli va, al gatto). Non voglio essere uno di quei tipi enciclopedici per cui mi fermo qua.
Roberto Roversi da L'Italia sepolta sotto la neve (Parte quarta, Le trenta miserie d'Italia)
XII
La miseria della misera Italia numero dodici la testa in fiamme la sterpaglia della festa dei pensieri paglia che avvampa brucia fra braci di fumo. Si consumano notizie mescolate al ricordo di vecchie età l'armamentario sul carro della vita in corsa è spazio di fresca primavera. Altrove polvere sollevata dall'auto nella strada di campagna odora di mele mentre il merlo s'allontana stride forte a filo dell'erba lungo il mare siepi siepi siepi di oleandri abbandonati e pini scavezzati dai venti secolari camminano a terra. Può la morte ordire il suo acuminato massacro ridurre in cenere il delfino il vascello in fuoco la sovrastante nuvola in ciclone e travolgere la vita? Il fervore trascinato in gorgo l'esistente in un attimo è scomparso giovinezza è il ricordo poi sull'occhio chiuso del cielo interminabile di tetti e alla fine dimenticare la tomba dei vecchi eroi? Quante primavere gli uomini fuggitivi abbandonano alle giovani ali che arrivano portate dal garbino? Si può considerare l'opportunità di non rassegnarsi bruciare il carro del vincitore anche le nostre bandiere. Per favore.
Racconto a una mia amica un bisticcio con due ragazze consociate contro di me la passata settimana. Lei, amante dei legal thriller, mi ascolta un po' spazientita. Poi con l'assertività del genere che ama chiede: "Ma scusa una non è quella che per ben due volte ti ha proposto quella cosa lì in modo più che esplicito e tu per due volte le hai dato buca?" Sì ma in realtà... "Rispondi: sì o no?" Sì. Ma... "E l'altra non è quella che ti ha detto che le piacevi e che siete usciti un po' di volte e poi tu... nulla?" Ma veramente non so, non credo che c'entri... "Rispondi alla domanda: sì o no?" Sì. "Non ho altre domande vostro onore".
Ciao caro o cara posso essere un po' ipocrita con te? Dirti quel che non penso? Prendere le tue parti davanti e parlarti male dietro? Scusa eh sai cioè... E' che preferisco che tu pensi che io ti stimo. Non è che ci rimani male no? Sai così è tutto più semplice. In fondo siamo fatti tutti così. Vabbè adesso vado.
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