Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ripenso a questa meravigliosa estate. Provo a ricordare le ore e i giorni di cui si è servita per rendermi il semplice collaboratore felice del suo tempo. Provo e in un attimo mi sembra di essere di nuovo quello che non sono più. Mancano i gradi del termometro, le spiagge, i piatti leccati fino alla fine. E tanto altro che ora mi sfugge.
Il giorno dopo le ho chiamate queste mie due amiche genovesi anche se non ci si sentiva da un bel po'. E una infatti aveva cambiato il cell nel frattempo. L'altra stava bene ma aveva a casa un'amica senza più casa. Due amici di mio fratello hanno perso moto e scooter. La mia amica aveva una voce grave e arrochita che non ricordavo. E anche se è passato il tempo credo dipenda da tutte queste cose recenti legate all'alluvione. Ed era una voce seria e senza curve. Dritta. Alle volte le voci sono così. Con dentro cose non sonore.
Partirò da un film non bello (ma che almeno mi è servito ad allenare il mio inglese) - S.Darko - e da un racconto molto bello, invece, di Alice Munro per dire qualcosa sull'amicizia femminile in tempi adolescenziali. Per dire forse anche qualcosa dell'invidia mia per quel miscuglio un po' debole e un po' inamovibile che è lo stringere un legame che dura a dispetto di tutto. Anche se poi magari si perde irreparabilmente e con la stessa forza. Il racconto di cui parlo si intitola Jesse e Meribeth e nel titolo già storpia i nomi del nuovo battesimo dell'amicizia. Una cosa che mi piace in questo racconto ma spesso nella Munro (questo è uno dei due tradotti da Silvia Pareschi invece che dalla Basso ma sono entrambe due traduttrici magnifiche) è la tripla aggettivazione (che qualche volta gli editor cassano): "artificiosi, avvilenti e formali"; "intimo, ombroso e trascurato" . Ma l'inizio? L'inizio, dico. Avete presente la maestosità semplice? "Ai tempi del liceo strinsi un'affettuosa, sincera, monotona amicizia con una ragazza di nome MaryBeth Crocker. Mi abbandonai a quel legame come d'estate mi abbandonavo alle acque tiepide del Maitland, quando mi sdraiavo sul dorso e, muovendo solo mani e piedi, mi lasciavo trasportare dalla corrente". (Guardatevi poi, in parallelo, il finale, la separazione dove l'elemento dell'abbandono/distacco è il vento che entra nel negozio e sembra volersi portare via una delle due). E il seguito è sempre di un'intensità sorvegliata e bellissima. Fino alla rivelazione di quel sentimento che dicevo: "Io e MaryBeth ne parlavamo spesso. Lei diceva che quando era sgattaiolata verso la mia sedia le batteva forte il cuore, ma si era detta: ora o mai più". E io vi dico che lo so, che l'amore alle volte è meno di tutto questo. E che ha ragione Jonathan Franzen quando scrive: "Alice Munro è uno dei pochi scrittori a cui penso quando dico che la letteratura è la mia religione".
1 il concerto jazz di un amico al vibrafono 2 un topolino dilaniato dal mio gatto 3 una buona cena di pesce (spaghetti integrali con vongole=la morte loro) 4 portaportese con aria di crisi e prezzi ribassati 5 le paste da regoli (uno dei due motivi per cui vale la pena morire e uno dei dieci per cui vivere) 6 un pranzo rischioso ma finito bene (i molti libri di cucina in classifica alla fine a qualcosa serviranno) 7 Orlando (con una speciale Tilda Swinton) in lingua originale 8 la pioggia sul tetto, dal letto (una cosa tira l'altra)
Molti mandano poesie e lo fa anche (appropriatamente) una libreria di Morlupo vicino Roma che si deve alla giornalista Monica Maggi. La poesia di questo sabato di Libra www.lalibrerialibra.com è molto bella. E' di Roberto Roversi a cui mi lega un'ammirazione e una stima che non dimentico (oltre a non dimenticare la collaborazione in alcuni suoi progetti come Rendiconti).
I DIECIMILA CAVALLI di Roberto Roversi
Non puoi far nulla (nel caso specifico) se non sei come loro se non sei non sei un rivoluzionario se non fai la rivoluzione non sei un operaio se non fai l’operaio né un uomo se non stai fra gli uomini. Puoi distorcere tutto, contaminare mescolandoti nel veleno della metafora ma se non sei questo e quello puoi appena parlare. Bisogna esercitare per poter concludere. Guardarsi dalle imitazioni.
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