Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 21/03/2006 @ 14:46:56, in diario, linkato 1544 volte)
Alla fine qualsiasi cosa si sussume in questo impermeabile assunto: bisogna avere i titoli per... E se non li hai, fine. Inutile appellarsi a qualsivoglia clausola qualsiasi ambiente di lavoro vi sottoporrà alla riconferma dell'enunciato. Ingenuamente penserete "be' ma c'è posto e posto". Candidamente vi posporrete... "quando sarò laureato, quando saprò l'inglese". Ma lo studio della discriminazione è davvero elementare (è elementare studiarla) ed è tutto in una dialettica di forze contrapposte. Risparmiatevi il tempo a interpreatre sorrisi, buone maniere, cristianismi, bandiere. Il potere fotte e fotte bene. Da dietro, a sorpresa. Non guardate avanti: il futuro non si sposta.
Di Carvelli (del 27/03/2006 @ 14:24:06, in diario, linkato 1552 volte)
Di Carvelli (del 28/03/2006 @ 13:21:15, in diario, linkato 1542 volte)
La morte sopravvenuta per piccoli errori, casualità sfortunate. Un'ultima deriva di occasioni non propizie. La fine sopraggiunta in un concatenarsi di sbadataggini. Un attrezzo difettoso, una macchina poco sicura, un ponteggio poco sicuro e la seduzione del vuoto (...) Una bambina che approfitta di un semaforo per scrivere che io sia che tu sia che egli ella sia che noi siamo in fila, in colonna, su un quadernetto a righe prima che scatti il semaforo.
Di Carvelli (del 28/03/2006 @ 14:56:28, in diario, linkato 1621 volte)
E’ un libro inchiesta e un libro narrato. Alterna piani diversi: la pedissequa registrazione di quel che avviene mentre sei lì senza un motivo e l’ironia di chi sente facilonerie ma anche la tenerezza davanti a certe durezze o radicalismi degli attivisti politici. E’ un diario, vicende personali che si intrecciano alle vicende politiche in un apparente distonia che ammorbidisce certe freddezze. Il diario di un'esperienza, quella di uno che si muove in anonimo tra sezioni di partito, assemblee programmatiche, cene elettorali fingendosi un indeciso e descrivendo quasi l’intero arco costituzionale dei simboli che ci si appresta a crociare. Votare nel mucchio. Cronache da un Paese sprofondato nell’urna è un diario, il diario di un’esperienza, quindi. Un viaggio pre-elettorale, una sorta di moblog fatto di autoscatti col telefonino mentre fai “anticamera” su qualche divano in attesa di poter essere ricevuto in sedi di partito e intanto registri con esattezza le parole che ti ronzano intorno. Chiedere ad un'astrologa di fare l'oroscopo di Prodi e Berlusconi e previsioni stellari sulla giornata del voto, farsi raccontare da un fotografo come è cambiata la disposizione dei leader agli obbiettivi. Punti fermi: i diessini intimiditi e schivi, i democristiani e i socialisti a loro agio. Tra giornali sfogliati con curiosità inessenziale e ricerche internet, totovoto da bookmaker che quotano i due leader politici per le scommesse, hare-krishna, critical mass, filosofi di campagna, portaborse, attivisti, spontaneisti, anarchici, preti al confessionale, giornalisti autonomi. Per chi deve votare un precario? E un gay? Chi vota e chi non vota? Un percorso picaresco scavando nel tarlo dell’indecisione o nella foga dei fan, tra sondaggi improvvisati al bar, telefonate a numeri a casaccio per l’Italia o a prostitute, in cerca di un elettorato medio che poi è un elettorato speciale. Come Voto Antonio, un “forse candidato” della Margherita dal nome comodo. Votare nel mucchio è un libro pieno di stupore e di disincanto come due vertici segnati dallo stesso ago della bilancia, forse quell’ago che delle volte fa dire “sono tutti uguali” o “non esistono più i partiti di una volta”. Senza giudicare registrare quel che sta per succedere e poggiare il proprio fioco riflettore su quelle che si apprestano a rimanere nella storia come le elezioni più scritte, lette e fotografate come non succedeva da anni. Un libro per cercare di capire e non-capire cosa succede ad un Paese quando cade nel vortice delle urne.
Di Carvelli (del 28/03/2006 @ 16:01:03, in diario, linkato 1561 volte)
Di Carvelli (del 29/03/2006 @ 08:29:34, in diario, linkato 1476 volte)
Che io sia che tu sia... La bambina al semaforo che scrive ...che egli ella sia che noi siamo ...in fila, in colonna, su un quadernetto a righe prima che scatti il semaforo... che voi siate che essi loro siano. Lo userà per i dubbi, gli farà seguire esortazioni? Nulla ancora è stato deciso in sosta a questo semaforo. Tutto ancora si deve realizzare in questa giornata, in questo futuro che sta per scattare in un via libera.
Di Carvelli (del 29/03/2006 @ 15:59:10, in diario, linkato 1615 volte)
Primo gennaio
Ho fatto un capodanno turco. Nel senso letterale della parola. Il mio 1° gennaio l’ho passato ad Istanbul. Pochi fuochi d’artificio, molte danze del ventre, kebab, Ataturk e taksi (mai viste tante auto gialle con al volante il peggio dell’affarismo truffaldino e d’accatto). Alcol moderato. Narghilè. Non eravamo i soli italiani, né i primi e a controprova nel Gran Bazar ci sentivamo chiamare in lingua. “Tu italiano?”, “Ciao come sta?”, “Italiano? Forza Italia”. È probabile che nessuno avesse deciso di anticipare la campagna elettorale in suolo ottomano ma il sospetto dell’assonanza è riecheggiata al ritorno. Il pullman che riporta a Roma Termini dall’aeroporto di Ciampino è uno di quelli che, normalmente, ti porta in gita. Dal finestrino pioggia a dirotto e i primi manifesti che suonano novità a noi abituati alla città turca così evasiva di autocelebrazioni capitalistiche o almeno contenute. Casini incita alla responsabilità e guarda avanti. Con piglio. Vorremmo dire fiducioso ma il dubbio soggiace. Chi deve essere responsabile? Chi lo è? Chi dovrebbe esserlo? Pochi metri di pioggia ancora e troneggia l’orizzonte berlusconiano. Forza Italia – l’imperioso incedere battagliero di un capitalista della prima Repubblica convinto allo scendere in campo dell’agone politico e alla sollevazione delle masse contro il vecchio paventato rischio comunista in ragione di un liberalismo sperticato e di ammanchi giudiziari – ha abbassato le piume e vira verso una comunicazione meno trionfalistica. Più resistente. Più paternalistica e materna. “Italia, forza”. Sembra uno sfiato più che un grido, un “proviamo” più che un peana. “Italia, forza”. Ce la puoi fare sembra dire il vecchio leone ora pacificato dai nulla di fatto dei processi (e scomparso visivamente dal messaggio). Inizio il mio diario elettorale da qui. Avvio il viaggio nei partiti da ora. Comincio a scrivere le elezioni da questo punto visivo. Da questo salto comunicazionale. La nuova campagna si annuncia improntata alla richiesta più che alla promessa. Alla millanteria segue la supplica. Alla certezza segue la richiesta d’intesa. Al calo dei sondaggi e della reputazione l’offerta di informazioni mancanti. “Non abbiamo comunicato abbastanza… impegneremo parte della nostra campagna elettorale a dire agli italiani quello che abbiamo fatto in questi anni di governo”. È un po’ come a scuola. Uno non aveva studiato e invece di dichiararlo apertamente provava a rimpastare le poche informazioni possedute alla rinfusa cercando di farne un sapere omogeneo e credibile e di fronte alle critiche di chi sbugiardava quella claudicante preparazione provava a ribaltare il risultato dell’interrogazione dicendo di aver risposto a tutte le domande. Serve più responsabilità. È vero.
Tre gennaio
Sezione Ds Prenestina – via Fortebraccio
Questa è casa mia. Pochi metri e vedo il balcone. Ma sono sceso e mi sono mischiato ai militanti. Due. Forse uno sarà il capo sezione. Forse no. Io di politica e lo dichiaro prima di venire sbugiardato come lo scolaretto di cui sopra ne sono meno di zero ma con uno spregio quasi radicale per la politica professionale mi lancio nel risvolto umano di questa tenzone delicatissima che sono le politiche 2006 come un pornoattore o un calciatore o un cantante prestato alle croci elettorali. La storia non è semplice. Solo in questi ultimi giorni si parla di marcio con un arco trasversale molto ampio. Stamane Mario Monti dalle colonne del Corriere della Sera invitava i due schieramenti a praticare un americana convergenza o pax che dir si voglia a beneficio del liberalismo dai due schieramenti (in buona parte) propugnato e alla presentazione (tardiva) del programma dei primi cento giorni di governo. Cento giorni. E siamo ancora ad evocazioni scolastiche. Solo che quello che lì appariva come un attesa di abbandono qui si insinua come una prova di volontà che fa più impegno che vacanza.
Giorni fa dalle colonne di la Repubblica Eugenio Scalfari ha invocato lo spettro morale di Enrico Berlinguer mentre Beppe Grillo dal suo blog ha chiesto a Fassino di fare pulizie interne. E ce l’aveva soprattutto con D’Alema e Violante, rei di poca correttezza e di profili incerti. Nei giorni scorsi si era parlato delle intercettazioni allo stesso Fassino per il caso della scalata Unipol, ventilandone una certa tacita accondiscendenza e il nome di D’Alema era rispuntato a proposito di un pagamento della sua barca a vela. Insomma, la situazione appariva poco chiara e Prodi dichiarava la sua “preoccupazione”.
Naturalmente queste cose le ho sapute poi, in Italia, visto che in Turchia non mi è successo altro che fez, kilim, succhi di melograno e hammam. Mi sono disintossicato. Diciamo così.
La sezione dei Ds della mia zona è tutta di legno imperlinato. Se ci metteste una ventina di tavoli avreste una trattoria romana tradizionale. Cucina tipica. E invece è vuota. A parte all’ingresso una friggitoria professionale da asporto che devo aver visto all’opera alla locale festa de l’Unità e dei festoni che hanno scampato – immagino – il recente ultimo dell’anno. Quello che io ho fatto proprio in mezzo a Aya Sofia e la Moschea Blu, senza spumante, con due bottigliette di birra tintinnanti.
Qui devono avere bisbocciato ma non si vede. La sala è sgombra a parte i festoni e il volantino a parete che testimonia come la sala sia imprestata ad una palestra taoista di arti marziali. Nella prima sala, l’unica che rumoreggia si dichiarano “ferrovieri” come se dicessero “prigionieri politici” e fumano a rotta di collo. Mi indicano l’aldilà della grande sala vuota dove trovo due antichi militanti. Uno in jeans, l’altro vestito più distintamente. Al primo squilla il cellulare in un avantipopoloallariscossa con tanto di coro a cui segue un “sono in sezione”. Mi offro per tavolini, campagna elettorale. Il loro benvenuto è sincero e corale. “Devi tornare dopo le feste”. Mi informo: non serve la tessera anche se sarebbe meglio. Anzi sai che c’è… noi facciamo delle riunioni allargate e se ti va puoi partecipare, così per renderti conto. Ma ora è presto. Tra una decina di giorni comunque parte tutto. Faccio presente che parteciperei volentieri anche a qualche incontro e chiedo se verrà e chi. “Mica lo sappiamo – sempre quello in jeans –, noi chiediamo solo in federazione e poi loro mandano chi c’è disponibile. Alle volte è venuto Fassino, D’Alema o anche Bettini. Chi è disponibile.” E voi chi chiamereste? Glissano.
A terra c’è una lucidatrice da pavimenti in marmo. È messa di lato, rivoltata, come se la stessero aggiustando. Il pavimento è tutto bagnato. “Ritorna… dopo le feste parte tutto e se vuoi puoi partecipare. Ma tu dove stai ad abita’?”
Di Carvelli (del 30/03/2006 @ 13:07:50, in diario, linkato 1983 volte)
LEGGERE ROMA
dalla città contemporanea alla Roma dei Papi
Roberto CARVELLI, autore di “Perdersi a Roma” intervista
Roberto Cotroneo, Erri De Luca, Valerio Magrelli, Sandra Petrignani
P R O G R A M M A
LUNEDì 3 APRILE 2006 ore 18 - incontro con Roberto COTRONEO
LUNEDì 10 APRILE 2006 ore 18 - incontro con Valerio MAGRELLI
LUNEDì 8 MAGGIO 2006 ore 18 - incontro con Erri DE LUCA
LUNEDì 15 MAGGIO 2006 ore 18 - incontro con Sandra PETRIGNANI
Di Carvelli (del 31/03/2006 @ 11:17:42, in diario, linkato 1500 volte)
Di Carvelli (del 31/03/2006 @ 13:47:01, in diario, linkato 1708 volte)
A Gamba Tesa/ Andrea Di Consoli
S’impara qualcosa da tutti. Da tutti quelli che ti parlano. Anche da chi ti fa del male. Anche da chi sta chiuso in casa, rintanato, lontano dagli uomini. S’impara qualcosa anche da chi non conosciamo (per esempio lo struggimento di volerlo conoscere, quell’uomo sconosciuto). Bisogna avere coraggio, per imparare. E anche per insegnare, bisogna avere coraggio. Viviamo un tempo in cui tutti vogliono fare gli allievi, perché fare i maestri significa disfarsi un po’ di se stessi, e quindi imparare a morire. Mi piacerebbe, un giorno, insegnare quello che ho imparato. Anzi, già insegno, a chi ne sa meno di me, le mie acquisizioni. Ho le idee chiare, su questo. Non sono un giovane scrittore. Non li temo, quelli più giovani di me. Non ho paura di invecchiare. Sono già vecchio. Mi assumo la responsabilità di indicare, a chi mi sta intorno, piccole rotte, mappe, gusti. Detesto quelli di quaranta o cinquant’anni che ancora mendicano un maestro. Di questi paurosi detesto l’individualismo mascherato di timidezza, la mancanza di generosità, la paura di rischiare, la necessità di nascondersi sotto l’ala rassicurante del potente di turno. Io imparo da tutti. Ma questo è normale. Piuttosto ho deciso d’insegnare quello che so, senza salire sulla spalla di un gigante generoso. I giganti non m’interessano. Li ascolto. Ma da pari a pari. Se qualcuno non mi sta bene, esco dalla porta e tolgo il disturbo. Non ho paura di nessuno. Non cerco padri. Ne ho già uno, di padre, e per me è il migliore della terra. Bisogna saper imparare da tutti. Ascoltare ogni discorso, con le mente ben aperta. Mi fanno ridere quelli che hanno mitizzato un maestro: di solito o ne sono rimasti schiacciati o lo hanno avversato con rancore. Io sono per la pluralità degli insegnamenti. Per la pluralità dei metodi e dei pensieri. Sono, della mia generazione, lo scrittore più vecchio di tutti. Mi sento di cento anni. Detesto la giovinezza che dura oltre i diciotto anni. Ho un sacco di difetti, lo ammetto. Ma rubrico tra i pregi la generosità di condividere con gli altri le mie cose. Di vedere gli altri superarmi in bravura e in riuscite di lavoro. Non bisogna solo imparare a imparare. Bisogna innanzitutto imparare a insegnare. In questo vorrei che la mia generazione fosse diversa. Vorrei che tramontasse definitivamente la stagione dei quaranta-cinquantenni che stanno marcendo nella prudenza, nella giovinezza protratta all’infinito, nella fiacca delle non-posizioni. In una parola: nel relativismo, che decade solo quando c’è da ottenere qualche misera commessa dal mondo dei giganti. Così, del proprio lavoro, non rimarrà nulla, neanche l’eco. Insegnare significa provare la vertigine di disfarsi di se stessi, cioè di morire. Significa indicare rotte, ben sapendo che quanto più sono precise e chiare, queste rotte, tanto più potranno essere contestate e superate. Per quanto mi riguarda, invertirei il problema: anziché almanaccarci sui buoni o i cattivi maestri, sarebbe interessante capire quanti di noi abbiano veramente il coraggio di ‘ergersi’ a maestri. Sì, con sicurezza. Con passione. Con coraggio. Rischiando qualcosa, quando si apre bocca. Senza marcire nel triste e misurato epigonismo dei giorni nostri, alibi perfetto per vivere una vita mediocre, senza infamia e senza lode.
pubblicato su Sud (numero dedicato ai maestri) e ripreso da www.nazioneindiana.com
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