Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Io rido per le gag visive tu per i giochi di parole. Io mi sganascio quando s'infrange il codice del comportamento usuale tu quando a crollare è il senso logico del verbo. Eppure alle volte rido anch'io per un refuso ma deve esserci un aggancio visivo. Come oggi: visone ed era visione.
Segnalo un bel blog (scoperto per caso) www.luxuslinguae.splinder.com e un bel libro, quello di Marìas che vedo ritratto nella sua migliore versione (cartotecnicamente parlando) italiana. Il post mi ha fatto ripensare alla sua bella lettura e ai molti regali (mai purtroppo nella versione qui effigiata) ed è per questo che vi invito a questa doppia lettura. Segue il post dal blog di cui sopra (a cui mi auguro che segua quella del serrato procedere da maratoneta di Marìas).
La ricerca del riconoscimento
Vero che la parola della settimana è all-nighter, ma la pensavo di segno diverso.
Anzi, una si ripropone di invertire il turno nottambulo, va a letto con le galline, poi però si sveglia all'improvviso a mezzanotte (sono quelli di sopra) e perde il sonno. Intanto si alza un vento ignoto che scatena uno sferragliare di lamiere di garage, uno sbatacchiare di oggetti che volano dalle terrazze, uno scuotersi di rami nudi, e tutta la casa sembra percorsa da fantasmi, le porte si aprono da sé scricchiolando paurosamente, la tromba delle scale ulula di vento, correnti d’aria lambiscono i piedi che camminano nudi sul parquet.
Non c'è verso di dormire, odio il vento, mi trasmette ansia, paura, senso di frantumazione. Pesco un libro dal cumulo del comodino, ma è il libro sbagliato se pensavo di ricadere nel sonno (la sveglia è puntata alle 6): Un cuore così bianco di Javier Marías (trad. di P. Tomasinelli, Einaudi, Torino 1999).
Oltre all'incipit che sembra la poetizzazione di uno di quei fatti di cronaca che attirano morbosamente il lettore, volente o meno (una giovane donna, appena tornata dalla luna di miele, va nel bagno della casa del padre e si spara al cuore), mi catturano le prime frasi in bocca al narratore in prima persona, Juan, interprete e sposo novello, perché, come si dice più tardi nel romanzo, «è forse questo che ci spinge a leggere romanzi e articoli e a vedere film, la ricerca dell'analogia, del simbolo, la ricerca del riconoscimento, non della conoscenza» (p. 210).
Il problema principale e più comune all'inizio dei matrimoni ragionevolmente convenzionali è che, nonostante la loro inconsistenza e la facilità con cui i contraenti possono sciogliere il vincolo, per tradizione è inevitabile sperimentare una sgradevole sensazione di punto d'arrivo, e dunque di arrivo a una fine, o meglio (dato che i giorni passano, uno dietro l'altro, impassibili, e non c'è fine) l'impressione che sia arrivato il momento di pensare ad altro. (p. 12)
Percorso da frasi ricorrenti, intessuto di citazioni shakespeariane che fanno da inquietante sottotesto a quella che potrebbe sembrare soltanto la normale storia di un normale matrimonio, animato da un ritmo lento e irreversibile, è come il bolero di Ravel, mi fa cadere in uno stato ipnotico da cui esco soltanto quando lo finisco, verso le 4 del mattino.
Mi sembra di aver sognato il libro, quando stamane mi alzo, in ritardo e con la testa gonfia di immagini e una frase incisa, quell’esortazione di Lady Macbeth «a non pensare so brainsickly of things, di difficile traduzione, in quanto la parola brain significa cervello e la parola sickly vuol dire cagionevole o malato, anche se qui è un avverbio; dunque letteralmente gli dice di non pensare alle cose con un cervello così malato o così cagionevolmente con il cervello, non sono bene come ripeterlo nella mia lingua […]» (p. 79).
Quasi alla fine de Le correzioni di Franzen. Mi ha sempre colpito la frase "se in un film c'è una pistola prima o poi sparerà" che è un po' una specie di assioma da ripetere a pappardella e da assumere a misura dei corsi di intelligenza scrittoria. E valga pure per il libro. Ma nella vita? Nella vita ci può essere una pistola (o un fucile) che sparerà o qualsiasi altra cosa che scatterà? Una tagliola. Una persona. Una macchina. Mi ha sempre colpito la predestinazione e l'incognita nella quale nuotiamo. Quale sarà il mio fucile? La mia tagliola? Quale cosa, seminata nel tempo dei miei anni, un giorno acquisterà un senso improvviso e immediato e chiuderà un cerchio aperto nelle prime pagine di questa vicenda con data di nascita e nome e cognome e città?
Piccoli passetti sul tetto. Un topino? Finisco le ultime bellissime pagine di Franzen (Le correzioni). A letto. Intorno c'è silenzio. Spengo la luce e guardo dalla finestra sul tetto se compare il muso del topino (il gatto è più silenzioso e i cani non salgono sul tetto). Ripenso alla resa dei conti finale del libro. E intanto (ho letto solo una pagina) penso se questo nuovo libro di Irène Némirovsky (Suite francese) mi piacerà. E ripenso a chi me lo ha regalato e me lo ha decantato e me ne ha parlato estasiata (come "uno dei libri più belli che ho letto l'anno scorso"). E penso a cosa si debba fare di fronte ad un libro regalato da un/a caro/a amico/a o di più. Ti piace? Bene, si rafforza il legame. Non ti piace? Pace. Lo interrompi, lo lasci come faresti con qualsiasi libro. Ma è giusto? E' giusto fare così? Un/a amico/a va ascoltato sempre e comunque. Un/a amico/a ti parla attraverso un libro e quindi come lo ascolteresti se ti parlasse di come sta e cosa fa lo dovresti ascoltare quando parla attraverso un libro. O no? Sono domande. Poi credo di essermi addormentato. Credo senza risposte. Oggi ho continuato a leggere e ho ripensato alle domande di stasera. Neanche oggi ho risposte.
Una voce che ti chiama dall'altoparlante. Sei tu. Non la tua voce, il tuo nome. Ti appressi al luogo del richiamo (del microfono) ma lentamente. Nella tua mente fai passi veloci, ma tutto è tremendamente lento, quasi più vicino alla stasi che al moto. E arrivi molto tempo dopo con l'impressione dell'eternità.
Non è segreto. Non è nascosto. E' meglio farlo senza dirlo. Non è segreto e se è nascosto prima o poi si vede. Mettiti di lato. Appena fuori dalla mia inquadratura. Io faccio clic mentre tu sei nel rettangolo del mio sguardo. La foto viene bene ma tu non ci sei. Eppure se la rivedo so che eri lì e da ora in poi finirò con ricordarla come la foto tua. Questo è il miracolo di cui si diceva. Esserci senza esserci. Come se fosse notte e tu mi venissi a trovare nel sogno. Chi altri lo saprebbe?
Lì c'era una famiglia e c'era l'oggi. Qui la guerra. Lì opulenza qui povertà. Lì problemi familiari qui sopravvivenza. Qui un parlare aulico, altisonante a volte ridondante, lì una scrittura più pulita, di scuola. Qui c'è un procedere per campi lunghi e quadri, lì c'era quasi una trattazione per personaggio. Qui un'orditura corale e visiva, lì un'introspezione nelle dinamiche familiari. Lì aerei qui auto a malapena. Spesso tra un libro e un altro si scava un fossato di tempo, una voragine che è difficile riempire o attraversare. Ci vorrebbero dei ponti. Ci vorrebbero liane. E invece c'è un grande vuoto e la vertigine di chi si sporge. Un tempo si diceva "propedeutico" ma quello era per un sapere a matrioske. Esisterà una parola per questi salti nel tempo? E un correttivo per le vertigini?
Tu non mi ami come io ti amo Tu mi ami se io ti amo Mi riami e non è sano Non mi ami tu da solo Tu mi ami in controsterzo C'è bisogno del mio sforzo Ed è per questo che ti sferzo
Con bella scrittura, piuttosto in alto, a destra, ha scritto i loro due nomi "A Irene e Gigi," e poi sotto la sua firma. Due iniziali non troppo maiuscole come chi sa la proporzione delle cose. Pur non essendo un grafologo mi viene da tentare un'analisi e mi rammarico delle mie volute enormi iniziali e poi i caratteri sproporzionatamente piccoli come di un'espansione di io che subito intimidisce, come un fuoco di paglia. Ho incontrato questo libro all'usato. E' un libro di cui sapevo. Sapevo che mi sarebbe piaciuto o così ho pensato dopo aver letto un'anticipazione su un quotidiano ma poi pochi soldi e nulla. Ora è mio. Alla metà. Metà dei soldi e metà del possesso perché in testa al librino smilzo rimane una traccia di possesso. Irene e Gigi. Chi saranno? Perché avranno venduto questo libro? Ci sarà un atto d'amore e un successivo atto di disamore dietro a dedica e vendita? O forse nulla, un mero calcolo, un affare. E sarò il secondo il terzo o più ad aver letto queste pagine (il libro mostra tracce di piegatura)? Mi piacciono i libri usati. C'è sempre qualcosa che ne arricchisce la lettura come il casuale abbandono di una foto bellissima e giovane di Valeria Golino completamente nuda (chissà perché lasciata lì in mezzo), una foto di una foto (poco ufficiale come quelle dei divi anni Ottanta che i ragazzi compravano nei negozi di fan). Come immaginavo il libro mi piace e si candida a diventare una di quelle letture fortunate, casuali e durevoli. Precedute da una sola sensazione positiva che poi la lettura conferma (I primi racconti di Marco Drago e quelli di Silvia Magi, Cirlè di Vito Bruno, due su tre sono libri Feltrinelli). Il libro della Lisa Ginzburg Colpi d'ala (è anche questo un Feltrinelli, uno di quelli garantiti al limone come era una volta, talvolta succede ancora ed è felicità, talvolta) si apre con un esergo da Rilke. Che è bello ed è questo: "Perché, se c'è una colpa, è questa: non accrescere/ la libertà della persona amata offrendole/ tutta la libertà che in noi matura". Ed è una massima da passeggio, da asporto. Nel libro ci sono almeno due racconti perfetti: Cucciolo Argo e Occhi gialli. Due racconti che hanno una grande grazia e una loro perfezione. Ma la grazia è ovunque...forse ho incontrato una sola parola che avrei cambiato ma è un'acqua in cui mi sono tuffato spesso quella di questo libro proprio come ci si immerge in una vasca calda d'inverno (lì è stato letto il primo racconto) o al lago d'estate (lì si immergono i protagonisti del primo racconto). Vorrei dire molto di più. Vorrei. Invece dico solo che un libro a volte a questo serve: a far maturare in noi più libertà nella speranza di poterla far fluire verso gli altri con quello stesso flusso che ci ha rinfrancato. Un colpo d'ala.
"Il più delle volte scrittori non si nasce. Non potrebbe essere altrimenti. La scelta di passare ore immobili, costretti in una sedia, accumulando parole su fogli di carta, cercando di far combaciare fatti che non sono mai accaduti, entrando nella testa di persone che non esistono, ha qualcosa di innaturale". Così Tommaso Pincio iniziando la recensione de "l'uomo del banco dei pegni" di Wallant (Baldini&Castoldi)
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