Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 17/04/2007 @ 08:56:36, in diario, linkato 1025 volte)
Fondamentalmente è l'avvervio che usi di più. E' il tuo intercalare, il tuo concludere, sussumere, abbreviare, tirare al punto. Fondamentalmente, dici, e spari a secco e definisci e battezzi o pratichi la tua estrema unzione del ragionamento. Fondamentalmente. A me diverte soprattutto quando a "fondamentalmente" unisci la tua opinione su di te e ti definisci. "Fondamentalmente io sono così". Io "fondamentalmente" no.
Di Carvelli (del 17/04/2007 @ 12:54:11, in diario, linkato 1454 volte)
Una dele letture più felici della mia settimana giornalistica è quella del settimanale Internazionale. Nell'ultimo numero segnalo il divertente editoriale di Milana Runjic e un articolo su questa artista Judith Scott la cui storia e le cui opere meriatano attenzione.
Cito l'articolo della scrittrice croata: "Dicono che gli uomini, a una certa età, impazziscono. Come se prima fossero normali. Anatomicamente parlando, è impossibile che gli uomini siano del tutto normali, perché il loro comportamento è condizionato dallo stato di quel meccanismo che hanno tra le gambe". Qui lo trovate tutto.
Di Carvelli (del 18/04/2007 @ 17:00:27, in diario, linkato 1457 volte)
Leggo libri che altri trovano imprescindibili. Vedo film che vanno visti. Le uscite più di grido. I nomi sulla bocca di tutti, le copertine sotto gli occhi del mondo, i trailer che ti rimbalzano ossessivi. Ascolto le hit del momento, il riff ostinato nelle orecchie. Ma ho come la sensazione di essere capitato per caso e per caso desidero di essere altrove.
Di Carvelli (del 20/04/2007 @ 09:46:32, in diario, linkato 1969 volte)
Le case editrici sono aziende, lavorano a scopo di lucro (o quanto meno non possono essere in perdita). Questo è allo stesso tempo un dato di fatto, un vincolo e uno stimolo. Misurarsi col mercato non significa esserne sopraffatti. Ogni casa editrice compone nel proprio catalogo una partitura complessa e articolata, che comprende libri commerciali e libri invendibili, scommesse sbagliate e bellissime sorprese, opere più o meno felici, commerciali, stravaganti, letterarie, interessanti, effimere o eterne. La verità non sta mai negli estremi (le 500.000 copie o le 500, le memorie della spogliarellista o l’edizione critica in sette volumi di un manoscritto in sanscrito…): per capire la qualità del lavoro bisogna interrogare l’intera produzione, vedere come si muove nei tempi lunghi. Lo ribadisco, non penso che spetti all’editor o all’editore commentare o difendere il proprio operato: è sotto gli occhi di tutti, esposto quotidianamente ai critici, ai lettori, ai recensori, agli aspiranti scrittori, agli storici della letteratura, ai comodini, agli scaffali, ai cassonetti della carta di recupero.
Così Paola Gallo, editor della narrativa italiana in Einaudi. Qui fa un piccolo ritratto del profilo di una casa editrice dal punto di vista dei suoi titoli che è cosa che merita davvero riflessione ma è ancora più interessante e forse più fragrante (nella prospettiva di un editor di una grande casa editrice) il resoconto del rapporto scrittore vs editor. Leggi tutta l'intervista qui.
Di Carvelli (del 23/04/2007 @ 08:35:31, in diario, linkato 1565 volte)
"Metà mattina, settembre, e rossi trattori su per un paesaggio ampio come il perdono. Nubi a ovest sull'orizzonte, pappagalli guizzanti sull'avena dei Leary, sul campo arato degli Stewart - i buoni amici sono parenti di sangue che ti scegli. La frase mi trova nel cuore della campagna che arpeggio fili di recinti, rientrando nella vita mia".
Da Verso i giorni imminenti (Un arcobaleno perfettamente normale - Adelphi) di Les Murray
Di Carvelli (del 23/04/2007 @ 10:30:14, in diario, linkato 1525 volte)
Da qualche giorno mi sta in testa questa canzone di Micol Barsanti, come quando non fai in tempo a sapere se è perché ti piace o perché piace. Entra nel cuore. Da qualche giorno mi stanno in testa le parole di Amanda Davis. Sono tratte dal libro Faith (Terre di mezzo). Sono dei racconti che come viene detto nell'introdurli o presentarli (sono piaciuti) possono piacere a neofiti della letteratura o a grandi teorici della stessa.
"Non sono arrabbiata, le dico, anche se non è del tutto vero. Lei sorride. Dire che non sei arrabbiata è un tipo di rabbia, dice. Non serve proprio a niente, però".
E questo racconto si chiama Faith ovvero Consigli per una signorina di successo.
Di Carvelli (del 24/04/2007 @ 09:06:26, in diario, linkato 1436 volte)
L'odore non viene da una bustina. Non sale da una tazza fumante. Non è una confezione-scatola che apri ed esce quel profumo. Viene da un campo appena tagliato e chissà se calma la rabbia di tutti accodati in auto, un senso e l'altro, tutti a uno a uno, a destra e sinistra prati. Inscatolati. Chissà se arriva anche in questi abitacoli vuoti, rallentati?
Di Carvelli (del 26/04/2007 @ 09:36:11, in diario, linkato 1410 volte)
Continuo ad aggiornare la rubrica fotografica "Letti di Amicizia". Questo è l'ultimo, quello di L. Questo. Ovviamente sono gradite le vostre foto specie quando sono belle come questa, quando raccontano: una luce del giorno, un arredamento e tutto quello che ci vogliamo vedere. Grazie L.
Di Carvelli (del 27/04/2007 @ 14:39:01, in diario, linkato 1554 volte)
Alla fine qui io e qui voi (nell'epoca dei commenti poi ahinoi tolti per interventute fatiche del server)...qui noi abbiamo sempre fatto di parole panda e quindi se ora è in voga e ci si chiede di preservare qualche uso o disuso (pure sull'abuso c'è stato qui esercizio di rifiuto) non facciamo che proseguire con fedeltà la linea. E allora facciamo accoppiare i lemmi che temiamo sterili. Vi va?
Di Carvelli (del 27/04/2007 @ 14:59:50, in diario, linkato 1382 volte)
Perché le ultime parole e quali. Penso così. penso ad un messaggio nella notte. Ad un sms. Dove è la speranza? Dove è la fine. E' qui la fine? E penso a queste parole: «Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». E sono le ultime di Pavese: un biglietto nei Dialoghi con Leucò prima dei barbiturici. Da che si distinguono le parole ultime? C'è un tono? E non sembra. Spesso non sembra. Anche se qui c'è un perdono totale e a due versi. Cosa scrivere? Cosa dire prima della fine? A chi far avere le proprie ultime parole che le riporti fedeli? Come scegliere il testimone del proprio lascito verbale? Ci sono domande, insomma. Chi riporterà fedelmente quel che abbiamo pensato con lucidità? Magari in una lucidità estrema e nichilista? O se ci sono risposte: emergerannno da quelle frasi cariche di definitività?
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