Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ci sono bancarelle che vendono libri e dvd. Libri e dvd (cari). Ma poi ce n'è una sola che vende dvd (economici, e alcuni sono gli stessi dell'altro). Ci sono corsie d'ospedale e infermiere che fanno il turno di ferragosto. Ci sono infermeieri e infermiere gentili. C'è una manopola che alza il letto. C'è una boccia di glucosio che pende dall'albero. E ci sono sdraie (ho controllato se si può scrivere) e ci sono ombrelloni e corpi distesi al caldo più o meno vestiti, più o meno lì a farsi guardare. Ci sono macchine e moto parcheggiate in fila e negozi con il cartello ferie. Ci sono queste cose qui che ho scritto.
E' estate accendi uno zampirone e le zanzare se ne vanno. Sarebbe bello se potessero fare lo stesso coi refusi. Riprendo in mano LA RIVOLUZIONE SPIEGATA ALLE COMMESSE e mi devo trattenere dalla sofferenza di vederlo colmo di refusi. Se fossi un lettore che penserei? Se fossi un giornalista? Persino nell'ultimo capoverso dove si ripete "(cosa) a cosa". O a pag.81 "Marco chi?...e non chiude il discorso diretto inglobando le virgolette il pensiero del narratore e poi "balestrato" per palestrato due righe dopo. E mi fermo per non morire di bolle. Mi gratto un po' e via. Finisce l'estate e finiscono le zanzare o altrimenti se ci sono le zanzare è estate.
Presumo che non lo sai, che se te l'hanno detto non ci hai creduto e che poi - al terzo che insisteva - ti è venuto un semplice sospetto hai subito trovato qualche altra scusa per riconfermarti nei tuoi sospetti. Presumo che fai così subito, che se una cosa ti risulta così, così la giudichi e non hai controprove. Presumo che se hai un'idea sei difficile a cambiarla. Presumo ma non sono sicuro. Non ne ho le prove ma mi sento che è così e sarei pronto a giurarci che non mi sbaglio.
Un tipo di stanchezza sereno. Senza il conto delle ore del sonno, senza sconti e guadagni. Un tipo di stanche zza che non pesa. Che non brucia. Quel tipo di stanchezza che puoi anche affrontare una giornata con meno benzina. Senza temere la lentezza, senza farsi atterrire dal peso della gambe. Una stanchezza che ti fa felice e ti fa dire che è bello quello che viene prima e bello sarà quel che viene dopo. Questo tipo qui. Di stanchezza.
E' una recensione mai uscita (non pensata per la stampa, che il libro poi in definitiva di stampa ne ebbe a suo tempo pochissima). Quella scritta anni fa da una lettrice e mandata per mail. Per me. Senza scopo pubblicazione. L'avevo messa da parte per l'inverno. E oggi che è inverno (parafrasando Agosto dei Perturbazione) e l'ho ritrovata e visto che i tempi non sono più sospetti e il libro ha le sue buone ragnatele ecco che ve la propino con il placet dell'autrice (grazie) e buona notte.
La prima cosa che mi viene voglia di mettere insieme è semplicemente questo: mi piacerebbe a volte poter parlare con le parole di Luna, poche perentorie, e soprattutto chiare, non allusive, specchio apparente di un mondo altrettanto poco e perentorio, solido e dai contorni volutamente nitidi, come il suo giovane corpo. Con parole che sono un approdo sicuro e non una partenza per un viaggio possibile.
Poi vengono tutte le altre cose del tuo libro, le considerazioni, il piacere di averlo in mano, piccolo nelle mie mani piccole, di leggerlo, il gusto per le affinità.
Di solito mi piace un libro quando la sua lingua mi convince. Quando come racconta riesce ad accostarmi a quello che racconta. E tu di lingue ne hai usate almeno tre. Apparentemente distanti, ma che si concedono scambi. Mi piace e mi convince l’essenza spaziale che hai attribuito ai capitoli introducendoli con nel quale…, luoghi in cui qualcosa accade secondo l’indicazione che ha i modi di narrazioni assai lontane nel tempo, una sorta di massima che concentra quello che il racconto dopo svela e a volte svia: questo accesso dal sapore settecentesco che introduce il lettore nel racconto. E sei tu che lo chiami così nel frontespizio, però a me non sembra che il tuo scritto esaurisca la sua natura nel modello del racconto, perché si forma e procede nei modi di un romanzo. Un romanzo di ri - formazione? E mi piace l’altro corto circuito. Ai capitoli nei quali…in realtà non concedi subito l’accesso, c’è prima (o meglio sopra) quel divagare leggero, quel riportare (sono proprio citazioni? immagino di sì) l’antilingua del mondo lucente e perfetto, piccolissimo e senza sbavature, ecologico, tecnologico e dall’alto, orgogliosamente individualista: il mondo del parlare intorno alla smart; un mondo che forse già ci sta intorno e che forse accontenta qualcuno. E ancora più sotto nella pagina comincia la tua storia. Ed è proprio un romanzo breve: i personaggi , i luoghi, la vicenda, le riflessioni, l’evolversi della storia e del protagonista, il finale. Il tuo protagonista senza nome, e in effetti il nome Luna basta per tutti, mi piace. Si descrive per come crede di essere ormai definitivamente a quarantacinque anni, ma mostra in controluce quello che potrà essere e che sarà.
Mi sto dilungando.
Mi piacciono i due mondi, diversi?, che si ritrovano nel luogo eletto della storia, nella smart che anche se è solo la metà avanti, che anche se da lì non si può scappare e non ci si può perdere, sembra meno angusta della casa di lui, del suo ambiente di lavoro, della sua parentela; e lì si accoppiano loro e i mondi che hai costruito per loro, nel vuoto dei pensieri e nel tutto pieno della carne, degli umori, del caldo, del vapore, dei respiri affannati, del cuore in tumulto.
Mi piacciono le sicurezze su cui si appoggia il piccolo mondo che Luna si è ritagliato escludendo tutto ciò che non vuole conoscere e al quale non vuole pensare, e il protagonista che invece dice “Sono io che non amo definire, che preferisco l’incerto per il certo, l’ombroso per il sicuro.”
Mi piacciono i piccoli scarti della lingua, quando procede lineare e ti sorprende un po’.
Mi piace il sogno realizzato di un incontro di sesso senza preamboli, senza precedenti confidenze. E mi riguarda la possibilità di parlare con le parole del desiderio e del piacere del corpo, giocando a carte scoperte, senza reticenze. Quante volte vorrei poterlo fare, anche solo per sondare un campo della lingua che molte persone, e ho l’impressione soprattutto le donne, non attraversano quasi mai.
E poi il finale in cui mi sono io sentita camminare piano e distratta. Ma adesso sono stanca e temo di stancare anche te.
Buona notte
E' quasi fine estate e siamo in un supermercato. Spingiamo un carrello quasi vuoto. Non serve il carrello se hai poco o nulla da comprare. Non serve occupare mattonelle, ingombrare i passaggi. Ma quando entri nel supermercato sei sempre un po' ottimista. Specie se è estate o fine estate e le tue vacanze le hai passate così: da un iper a un super, un outlet o uno store, un concept o un multimarca (ecco fatto!li ho detti!), un centro commerciale. Insomma è fine estate, hai un carrello semi vuoto e ti stai per mettere in fila. In quale fila? La sei è semi vuota ma c'è una donna che posa ad uno ad uno seicento articoli sul nastro trasportatore. La due: dieci persone con poca roba. La quattro cassette di birra da dopolavoro ai Carpazi. E allora che facciamo? Prendiamo e svuotiamo il carrello ma senza tanta pazienza lasciamo il pollo in mezzo alle tovaglie di carta e il latte vicino alle lampadine. Deve essere per questo o quasi che spesso le cose nei supermercati stanno fuori posto. Compresi noi.
No, pare di no. Che non è il caso. Che sanno già tutto. E' una vita che espongo problemi e gli altri sanno già tutto. E allora: perché ogni volta sono costretto (non mi sento in dovere) a riesporre il problema?
Di Carvelli (del 24/08/2007 @ 10:16:37, in diario, linkato 1295 volte)
Da qualche giorno la mia collega ha una nuova sindrome. Trattasi di una (di solito pericolosissima ma in lei al contrario speculativa e utilissima) propensione allo studio degli ingredienti. Ha trovato anche dei siti dedicati e ora sappiamo (mi sono fatto persino contagiare) che c'è un ottimo bagnoschiuma per bambini da lidl e il tipo di farine che usano i biscotti galbusera e alcenero e gli zuccheri ecc. Insomma da qualche giorno ne so qualcosa in più e mi dichiaro fortunato di poter fare le pulci a qualsiasi cosa avesse l'ardire di proiettarsi sulla mia pelle o finire risucchiato nel vortice profondo dei miei intestini. Non so se sarò in grado di scomporre gli ingredienti o i componenti ma di certo ho fatto un buon acquisto con la sindrome altrui e almeno stamattina la mia pelle ringrazia.
Di Carvelli (del 24/08/2007 @ 12:18:15, in diario, linkato 1346 volte)
Non moriremo mai, sai.
Ovunque di noi
resterà questa traccia pallida
e saremo belli per anni e anni
e saremo sani.
Ovunque di noi
si conserverà questa
piccola bava sul cuscino
un pelo arricciato ai piedi del letto,
tra le lenzuola.
Qualcuno dirà
che abbiamo vissuto
e sembrerà un segno epocale.
Diranno che, quando faceva freddo,
le nostre mani si ghiacciavano,
che eravamo facili alle commozioni,
che avevamo appetiti improvvisi
e li soddisfacevamo appena si presentavano.
Diranno che eravamo impulsivi
che eravamo deboli
che eravamo allegri
che eravamo poveri.
Diranno che eravamo felici.
Di Carvelli (del 24/08/2007 @ 14:17:04, in diario, linkato 1924 volte)
Questa recensione è uscita qualche giorno fa su l'Adige
Abbracciare gli animali
di Roberto Carvelli
Forse perché il titolo è particolarmente azzeccato ed è un merito da ascrivere agli editor della Adelphi che mandano in libreria con il titolo La macchina degli abbracci. Parlare con gli animali (Adelphi, € 30) il volume (scritto con Catherine Johnson) della professoressa americana Temple Grandin, zoologa autistica, ma la curiosità scatta e senza rimpianti. Spariti dal titolo i riferimenti alla malattia che affligge l’autrice (in realtà senza per questo forzare la natura del volume), La macchina degli abbracci è a tutti gli effetti un libro pieno di curiosità che aiuteranno a sciogliere i dilemmi sempre più frequenti dell’etologia e la psicologia animale. La fanno da padroni gli animali da allevamento ma è chiaro che il libro renderebbe felici i tanti comuni possessori di cani e gatti. Con uno sguardo particolare alle razze e alla genetica che le ha rese più o meno violente (questo rende le storie di cronaca particolarmente attuali, quelle per intenderci su pitbull e rotteweiller). La Grandin ha esperienze e storie da raccontare ed una casistica smisurata di consulenze per allevamenti: il suo lavoro pratico al fianco di quello nell’università del Colorado. Ad esse unisce le storie delle amiche e la sua particolare. Fatta di un’attenzione precoce agli animali della casa e del ranch. In pratica, la Grandin, scopre in età adolescente di avere il dono della comprensione e dell’empatia verso le creature animali che la circondano. Si inizia con la macchina del titolo e l’effetto calmante da contenimento che determina lo stringere in maniera dolce uomini e bestie che siano. Una frase ci mette subito sulle piste: “Gli esseri umani e gli animali devono stare insieme. Siamo evoluti fianco a fianco per molto tempo, e fra noi, umani e animali, si era stabilito un sodalizio”. Ed è un sodalizio che si è rotto a meno di avere in casa i domestici tradizionali forzando questo isolamento spaziale e anche psicologico. Da qui tutta una serie di riflessioni a cascata propizie non per chi le bestie le ama ma anche per chi le osserva e con l’osservazione capisce cose su di sé. Particolarmente interessanti sono i capitoli sulle paure, sul dolore e sulle sofferenze. Il merito di tutta questa forza empatica della studiosa americana – è presto detto – risiede nella particolare concezione del mondo di chi soffre di autismo: un vantaggio prospettico scoperto e tesaurizzato. Intanto la peculiarità di conoscere il mondo per dettagli (così simile al modo degli animali: “noi autistici riusciamo a pensare come gli animali” sottolinea la Grandin) che fa riferimento ad una sensibilità speciale e alla simile conformazione cerebrale e che spiega cose che altrimenti rimarrebbero precluse alla scienza. Insomma siamo alle prese con un libro prezioso e Oliver Sacks garantiva e garantisce definendola “l’antropologa su Marte”. Un libro che rasserena e semplifica, risolve e sposta lavorando in un terreno non accidentato dalla scienza né dalla psicologia pur preziose. Il sottotitolo potrebbe essere: osservare per capire e non sarebbe, per una volta, didascalico né pretenzioso.
Per continuare a parlare di animali e di autori con tendenze zoantropiche e per fare gli auguri ad una piccola ma pregevole casa editrice romana, le nubi edizioni (www.lenubi.it), recensiamo il racconto Gli scarafaggi (€ 8) dello scrittore portoghese José Cardoso Pires (1925-1998) che ribalta il mito metamorfico dello scarafaggio (in realtà trattasi di blatta) di Kafka (giocando con l’assonanza del nome del protagonista) trasformandolo in un cupio dissolvi da invasione dove studio e somiglianze di etos si trasformano in un suicidio. Ecco forse il libro è proprio la storia di un’ossessione mortale che termina alla Fulci o alla Romero con annessi scricchiolii dei gusci. Un altro modo per farsi amare, alla follia, dagli animali.
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