Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Gestire i conflitti. Che brutta espressione per un bel concetto! Un concetto ammantato di pacifismo ma di smodata illealtà. Alle volte rimango stupito di quanto - a lavoro accade con frequenza abbacinante - si faccia uso smodato ed arte del fraintendimento. Me ne stupisco sempre un po'. Sempre. Ad esempio a me piace usare il cacciavite dell'ironia e dell'autoironia - ma dovrei dire la sega perché oggetto più consono a due mani (di due corpi diversi) - per dirimere questioni a cui una certa immobilità non dà la stura. E serve: aiuta: fa felici: risolve. Ma la gente non se ne accorge. Funziona proprio così: si lavora con piacere, si sega, si svita e senza rendersi conto del tempo che passa, del corpo che suda, del braccio che s'indolenzisce. Tutti felici poi quando quel non rendersi conto della fatica non fa più fatica e si apprezza il raggiunto risultato. Ecco allora farsi avanti, subdolo, il piacere della demistificazione. Dell'utilizzo fuori contesto dell'autoironia (la tua) che diventa (tuo)ironia, ironia verso te. Forse, non è il solo caso nella vita, bisognerebbe mettere sottotitoli. Tipo: stiamo usando l'autoironia come morbido cuscino per sudare con meno sforzo, dopo la metteremo da parte affinché ci serva ancora per altri sforzi. D'accordo? (come tuonava la vecchia Marchi) Forse serve un patto scritto che non ci faccia pentire di aver aiutato la fatica. Ecco: quando sento Gestione dei conflitti penso a queste cose qui, belle parole che nascondono vizi di forma. L'essere umano tende a prevalere e di epoca in epoca, di luogo in luogo trova il modo per farlo. In un secolo lo chiama "capitalismo", in un altro "internazionalismo", in certi anni "guerra", in altri "gestione del conflitto". C'è solo un frantendimento. Ad arte.
Cose che hai detto
Hai detto porto con me questa piccola guida della tua città come gli imperatori cinesi i bonsai e sei partita. Ti immagino a guardare il mare come si vede l’impero di nulla di quel che resta, la sosta, la fine.
Da www.matteobblog.splinder.com/
LE LISTE: 1) COSE CHE MI PIACCIONO
LE LISTE: 1) COSE CHE MI PIACCIONO
Quando in macchina rallento per far passare un pedone o un’altra macchina e loro mi fanno un cenno di ringraziamento con la mano.
Camminare per la città di notte ascoltando musica con l’iPod.
Gli attimi appena precedenti a una registrazione televisiva, quando ancora non si sa come andrà la puntata e tutti sono tra l’ansioso e l’elettrizzato.
Parlare in collegamento video con Skype.
Stare tutta sera sul divano col mio fidanzato a vederci di seguito quattro o cinque puntate di una serie tv registrata.
Il terzo o il quarto giorno in cui mi trovo in una città straniera e percepisco che comincio a conoscerla, che riesco già a muovermi da solo.
Ricevere fra la posta, a sorpresa, un libro che non vedo l’ora di leggere.
Comprare ristampe in cd tra le offerte speciali quando il prezzo è così basso che non mi fa sentire in colpa per acquisti anche avventati.
Il momento in cui capisco che ho raggiunto il numero sufficiente di racconti per realizzare un nuovo numero di ‘tina.
Guidare per lunghi tragitti con la musica che sembra perfetta per quello specifico viaggio.
Conoscere i lettori nei luoghi più inaspettati.
Controllare la posta da tutte le mie varie caselle mail la mattina subito dopo aver fatto colazione.
Quando perderai quella tua aria sdrucita, il tuo vittimismo innato, il lamentarti, il dolerti di ogni cosa, l'accusare gli altri, lo spostare continuamente le responsabilità. Quando perderai il rancore, il tormento. Quando ti lascerai alle spalle il gravame del tuo passato infelice. Quando ti libererai di quel prudente attendere che ti si chiami in causa per poi dire "non era compito mio, non toccava a me".
Ti racconto un segreto. Prometti di non dirlo a nessuno?
Grazie, del pezzo che mi hai mandato. Lo metto qui. Proprio qui.
"Ehi..Ehi..mi senti? Dì qualcosa" disse Midori, la testa ancora sepolta nel mio petto.
"Che cosa?".
"Quello che vuoi, purchè sia qualcosa che mi faccia sentire meglio".
"Sei molto carina".
"Midori", suggerì lei, "mettici anche il nome".
"Sei molto carina, Midori", corressi.
"Molto quanto?".
"Tanto da far crollare le montagne e prosciugare i mari".
Lei sollevò la testa e mi guardò.
"Sai che le espressioni che usi tu sono assolutamente uniche?", disse.
"Solo tu mi capisci davvero", dissi ridendo.
"Dimmi qualcosa di ancora più carino".
"Mi piaci tanto, Midori".
"Tanto quanto?".
"Tanto quanto un orso in primavera".
"Un orso in primavera?", chiese lei sollevando di nuovo la testa, "come sarebbe un orso in primavera?".
"Un orso in primavera.. allora, tu stai passeggiando da sola per i campi quando ad un tratto vedi arrivare nella tua direzione un orso adorabile dalla pelliccia vellutata e dagli occhi simpatici, che ti fa: 'senta signorina, non le andrebbe di rotolarsi un po' con me sull'erba?'. Tu e l'orsetto vi abbracciate e giocate a rotolare giù lungo il pendio tutto ricoperto di trifogli per ore e ore. Carino, no?".
"Carinissimo".
"Ecco, tu mi piaci tanto così".
(Haruki Murakami)
Riprendo dalla segnalazione di ieri. Ci sono foto di morte che hanno fatto il giro del mondo: Che Guevara per esempio. Ma la morte fotografata da Schels è una morte composta. Composta. Comporre. Si usa questo verbo qui: comporre un cadavere. Questa è l'espressione che si usa e contiene: vestire, chiudere gli occhi, chiudere con un fazzoletto la bocca e gli occhi con le dita. Poi vestire, incrociare le mani. Una composizione. Come un quadro. Come una foto posata. Come queste di Schels. Foto in cui non senti l'aria dentro o fuori quel corpo, in cui non distingui sonno da assenza, in cui vedi come la morte sia lieve e ammorbidisca i dolori. Ma è un fatto non solo scenico. La morte è davvero vita. La morte rinizia, riprende, rivuole e riottiene. Ma non ci si arriva per riflessione. E' questo il brutto della morte (che) il bello è in sé ma è ben celato. Tutti i lavori potrebbero essere lavori della e sulla morte. Tutti. Non solo quelli espliciti.
A questo punto in teoria dovrei augurarmi la tua morte ben sapendo che è la seconda scelta. La mia ambizione più grande è che tu capisca. E' solo per l'inevitabile impossibilità che si cede al male minore.
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