Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
"Waking before sunrise, in a house not my own,/ I hear a radio playing in the kitchen."
Così inizia Mesopotamia di Raymond Carver, una poesia della raccolta di cui dicevo. E così inizia La rivoluzione spiegata alle commesse che esce nel 2002 (nonluoghi) col titolo Bebo e altri ribelli. Questo libro di Carver lo compro e lo recensisco nel 1992. Quindi credo di aver letto questi versi prima di aver scritto quello o sono coevi. Poi ricodo che sono nella redazione di un piccolo giornale giovanile, satirico, una ragazza mi guarda e mi chiede "lo hai scritto tu?". Forse sapeva il mio cognome, di certo doveva saperlo e aver pensato che chi scrive sotto pseudonimo cambia un po' ma non tanto da rendersi irriconoscibile: un piccolo taglio, una semplice indolore caduta sillabica. Chissà, davvero, se ho scritto prima quell'inizio (il libro risale in realtà agli anni universitari, quindi siamo lì) o ho letto prima i versi di Carver. Lì come qui una voce lontana che arriva da una cucina. Ma la casa è una casa familiare a chi scrive nei versi nel mio libro è davvero una casa a sopresa dopo un capodanno alcolico. Una di quelle case dove si finisce per sbaglio, così accade al mio young hero Bebo. Anche lì il risveglio è abbatuffolato nei rumori di piatti al risciacquo ma si parla di cose nella cucina di Carver e il protagonista corre a sentire. Nella cucina de La rivoluzione no. Dopo ci sarà il nulla. Prima c'era ancora più niente.
Di Carvelli (del 14/04/2009 @ 12:24:04, in diario, linkato 1263 volte)
Stanotte ho dormito poco o niente. Prima sì, in poltrona. Poi poco. O forse niente. Volevo dormire, io. Era lui che non voleva. Gli dico: domani sarai stanco. Domani lavoro e tutto il resto ma nulla. Non ne voleva sapere. Quanta autonomia sta conquistando il corpo? Sono io che gliel'avrò concessa. Poco alla volta. Ho iniziato da un po'. Forse senza rendermene conto o forse con un po' di forzatura prendo e gli dico "fai tu". Ma che devo fare. D'altronde è così. Ognuno va dove vuole andare. Non è colpa di nessuno se lui ha un suo disegno. Un imperscrutabile desiderio di vivacità. Sono io che dovrei essere più attento. Non più permissivo. Più collaborativo. Quando decideremo di fare qualcosa insieme? Ora sono io che lo chiedo a te. Mio corpo. ' questa la prova della mia disposizione verso te.
Raymond Carver. L'ho ripreso in mano è Blu Oltremare. Ce l'ho in una vecchia edizione Pironti. Questa
L'ho ripreso in mano e ho letto una poesia (la linko qua sotto ma nella versione di Duranti per minimum fax). Ne trovo anche un'altra di poesia e mi viene un piccolo e curioso sospetto. Ma non da dire oggi o più tardi.
BONNARD'S NUDES His wife. Forty years he painted her. Again and again. The nude in the last painting the same young nude as the first. His wife.
As he remebered her young. As she was young. His wife in her bath. At the dressing table in front of the mirror. Undressed.
His wife with her hands under her breasts looking out on the garden. The sun bestowing warmth and color.
Every living thing in bloom there. She young and tremulous and most desirable. When she died, he painted a while longer.
A few landscapes. Then died. And was put down next to her. His young wife.
I NUDI DI BONNARD Sua moglie. Per quarant'anni l'ha ritratta. Un quadro dopo l'altro. Il nudo dell'ultimo quadro era lo stesso corpo giovanile del primo. Sua moglie.
Come la ricordava da giovane. Com'era quando era giovane. Sua moglie che si fa il bagno. Alla toeletta davanti allo specchio. Spogliata.
Sua moglie con le mani sotto i seni che guarda fuori in giardino. Il sole le dona tepore e colore.
Lì ogni cosa viva è in boccio. Lei, giovane e tremula e desiderabilissima. Quando lei morì, lui dipinse ancora per un po'.
Qualche paesaggio. Poi morì anche lui. E fu messo a riposare accanto a lei. Alla sua giovane moglie.
Nel sogno è su una portantina. Nel sogno è bianca, diafana. Nel sogno: soffre, si lamenta ma con la dignità di chi non piange. Di chi non ha più lacrime. Nel sogno mi chiede di finirla qui. Mi prega. Nel sogno le dico di non preoccuparsi. Le dico che andrà tutto bene. Nella realtà mi sembra questa l'ultima volta che ci parliamo. Bocca a orecchio. Dopo parlano le anime. Ecco: arriva il corpo e poi l'anima.
Everything's all right (vedi ieri).
Vorrei essere migliore. Vorrei essere più semplice. Migliore, più semplice. Migliore. Più semplice. Vorrei essere più semplice.
Dice che mi ha sognato. Prima arrivi tu e poi l'anima, dice. Anche G. mi ha sognato. Che vita notturna intensa. Pare che faccia molti viaggi nei sogni altrui. Due vite. In una me ne vado in giro. Grande attività onirica, in altro loco. Anche io ho sognato. Lei. Giorni fa l'ho sognata. Si lamentava. Si disperava. Voleva che l'aiutassi alla fine. E' già successo mi sono detto. Ero io che la sognavo. O era lei che mi sognava, che ricordava. O io, che ricordavo. Ora è tutto giusto. Ognuno sta dove deve stare e sta bene lì. Ora dormi serena.
Più semplice, migliore.
Di Carvelli (del 06/04/2009 @ 15:09:23, in diario, linkato 2705 volte)
Linko un articolo di Massimo Gramellini che avevo letto qualche tempo fa...
L'uomo che guarda di Massimo Gramellini
Non riesco a togliermi dagli occhi l’immagine di un signore sui quarant’anni che ho incrociato all’ingresso di un centro commerciale. Mi hanno detto che sta lì tutto il giorno, da quando ha perso il lavoro. Arriva la mattina presto e si piazza davanti alle vetrine, ricolme di beni di consumo che non può, o non osa, più comperare e che per lui rappresentano il misuratore della felicità: così gli avevano insegnato. Di solito sono i pensionati quelli che guardano. Si fermano in mezzo alla strada per seguire la manovra di un’auto che tenta un parcheggio in retromarcia, nella segreta speranza di assistere allo scempio di una fiancata. Oppure trascorrono il pomeriggio davanti a un cantiere per controllare i movimenti degli operai. Quel disoccupato si sente già un pensionato. Guarda la vetrina perché non riesce più a vedere il futuro. Quando chiesero a Wayne Gretzky, miglior giocatore di hockey su ghiaccio di tutti i tempi, quale fosse il segreto del suo talento, rispose: «Pattino sempre verso il punto dove finirà il dischetto, invece che verso quello dove si trovava prima». La crisi mondiale è il dischetto che si muove. Ma noi dove stiamo guardando? Si diventa vecchi quando la nostalgia prevale sulla speranza e i rimpianti sui sogni. E sempre più spesso si diventa vecchi da giovani, benché non ci sia niente di più triste. Mi vedo riflesso in uno specchio del centro commerciale: sono un uomo che sta guardando un altro uomo fermo davanti a una vetrina. Mi verrebbe voglia di andarlo ad abbracciare. Per dirgli: il dischetto si è mosso, muoviti anche tu.
www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=603&ID_sezione=56&sezione=
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You have never been in love, Until you've seen the stars, reflect in the resevoirs
And you have never been in love, Until you've seen the dawn rise, behind the home for the blind
We are the pretty petty thieves, And you're standing on our street..
...where Hector was the first of the gang with a gun in his hand and the first to do time the first of the gang to die. Oh my. Hector was the first of the gang with a gun in his hand and the first to do time the first of the gang to die. Oh my.
You have never been in love, Until you've seen the sunlight thrown over smashed human bones
We are the pretty petty thieves, And you're standing on our street..
...where Hector was the first of the gang with a gun in his hand and the first to do time the first of the gang to die. Such a silly boy. Hector was the first of the gang with a gun in his hand and a bullet in his gullet and the first lost lad to go under the sod.
And he stole from the rich and the poor and the not-very-rich and the very poor and he stole all hearts away he stole all hearts away he stole all hearts away he stole all hearts away
Broccoli, finocchi, Obama and me
di Roberto Carvelli
Il retro della casa rossa (la mia) somiglia al retro della White House. O Black House come da arguzie giornalistiche post elettorali. Lì Washington, qui Quadraro. Lì come qui verdura di stagione. Finisce qui la parentela.
Compie un anno questa terra (la mia). Dodici mesi di esproprio demaniale che hanno dato insalata e radicchio sempre, finocchi un po’ involuti, broccoli e cavoli ritadatari. Verde che si è sostituito a erbacce, topi e bisce (giuro!). Roma è piena di abbandoni. Metri e metri quadri di malva e tarassaco, cicoria spontanea, alianto a strafare. Ritagli lasciati al niente. La regola de “la libertà tua finisce dove inizia la mia” procura lacune verminose e zecche (cosa è meglio?). Perché non dare in quei luoghi di sconfine la stura agli orti condivisi? Perché non offrire terra a benintenzionati. Ma sì: la terra agli urbani contadini! Ecco l’agricoltura di ritorno e in trasferta, la rivoluzione verde in attesa della biancorossa in corso (di eclissi). Un consiglio? Piantare con la luna nuova.
www.accattone.org/PA/web/content.php?cid=422
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