Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mai più, mai più voglio sentire dire che un piccione non muore. Che se si va, che si deve andare, che quelli vanno, che tutto va come deve andare. Che non bisogna rallentare. Invece i piccioni muoiono. Distrattamente, sbadatamente i piccioni muoiono. E non è di morte naturale. Non dire accelera. Non dire tutto va. Nessuno muore se non di vecchiaia, di malattie. Perché invece i piccioni muoiono in incidenti stradali. E ora lo so.
Tu devi essere matto, e non hai detto altro. Che altro dire. Parlo per me, ora. Che altro dire. Ed è finita lì.
Dopo - quanto dopo, non so dire - non hai altro da dire. Niente. Non nient'altro. Niente. Hai finito di fare quello che facevi. Forse c'è stata una vacanza. Forse due. Forse. Tante altre cose, dunque, da dire. E invece: niente. E' domani che aspetti. E' domani che aspetto.
Questo sono, ho detto. Questo sono ma non ho detto cosa è "questo". Ma emergerà chiaro dopo. Dopo sarà chiaro. E dunque lasciamo fare al tempo. Il tempo fa meglio di noi. Che terribili imitatori del tempo che siamo. Ora dimmi. Dimmi se sono matto. Dimmi qualcosa.
Le parole devono essere rimaste nell'aria un po'. Le parole erano "matrimonio" e "contatti". Poi più nulla. Persone che piangevano. Facce costernate. Dopo è stato solo dolore. Immobilità, dilazione di tutto. Le parole sono tornate dopo, nel tardo pomeriggio, altrove. In un centro commerciale iperpopolare dove cercavo di partecipare a una lista di nozze come a una riffa a cui erano rimasti premi troppo piccoli. Come se avessero bucato la bolla eccole di nuovo lì, molte ore dopo. Matrimonio e contatti. Tanto più forte è la morte.
Ho contatto tre volte la parola matrimonio e una la parola funerale. Mi è tornato alla mente un film. Ma lì c'era il numero 4. Mi è ritronata alla mente questa canzone (anche se c'è un videomontaggio allucinante didascalico).
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Prima di essere stato. Prima di essere (stato) cattolico, buddista. Prima di tutto i simboli. Ma ne riparlerò. Del mio animismo. Del mio panteismo. (Un'altra volta)
Che si è sentita speciale. Tre mesi appena (dice lei, ma non erano sei?) e per una volta era preziosa agli occhi di qualcuno. Ed è una cosa che è durata anche dopo, una cosa che forse ha funzionato per altri, per me, per dopo. Questa è la cosa bella. La cosa brutta è che non sei generoso. Non eri generoso almeno allora. Ma proprio per nulla. Chiedo se c'è una cosa media. E non c'è. Non c'è mai una cosa media. Domandarsi perché. Mi riviene in mente una frase dal film L'uomo che amava le donne di Truffaut: "è che sembra che ne va della tua vita". Sembra che non esiste null'altro, che tutto quello che c'è, tutto quello che esiste è questa cosa qui. Volermi (è bello Mi vuoi? dovremmo dire tutti così come se fossimo una bibita fresca. Mi vuoi? Sì ti voglio). Un desiderio vitale (o forse è mortale?) a cui non si riesce a dire di no.
Lascio lo zainetto sulla moto dalle 21 all'1. Lo lascio in mezzo a una strada e vado via in macchina. Me ne accorgo solo quando ritorno. E lo zainetto è ancora lì. E' stato lì per tutte quelle ore e nemmeno un curioso. Deve essere come si dice "mettere davanti agli occhi per nascondere". (Mi sorprendo) Ritorno a casa e mi ripeto: lascio lo zainetto tutta la notte sulla moto (d'accordo sì nel giardino ma tutta la notte e e...mi soprendo ancora...me ne accorgo solo stamattina).
Il sogno è brevissimo mentre lo sogno penso che sembra un film degli WHO. Il film è girato benissimo (di chi è il merito?). Sono su una specie di calesse non trainato da nulla, mosso solo dal vento. Tempesta di sabbia, cammelli che danzano nella polvere cavalcati da viandanti arabi in turbante. E' una specie di danza bellissima che purtroppo finisce alle 8e30 senza sveglia (è suonata due ore prima) . Oggi R e T dicono che sembro un arabo. Che mi sono vestito da arabo (mi dicono di stare attento ai controlli anti-terrorismo). Sogno o son desto?
Mi domando se ho fatto tutto. Se devo lasciare qualche indicazione per dopo. Se già sto preparando il dopo. Dico "ci penserò dopo" ma penso che dopo è presto. tenerne conto.
Di Carvelli (del 25/05/2009 @ 09:55:46, in diario, linkato 1131 volte)
Non ci sono novità sull'amore. C'industriamo un bel po' per trovarne. Ognuno la sua verità: ce la diciamo. Ecco che alla fine siamo tutti lì senza. Senza novità, voglio dire. C'è una versione Aristotele ("io prima devo fare l'amore e poi piano piano m'innamoro...non sono mai riuscito a farlo prima, è solo lì che capisco") e una Platone ("io prima m'innamoro e poi il resto"). Non è importante qui dire chi con un filosofo e chi con l'altro. Non importa davvero. E' solo che siamo nelle nostre due non novità. Ma postillo: della grande fortuna di essere o essere stati tanto amati nessuno potrà mai ripagare nessuno. Che pensa ancora a lui. Che è la grande fortuna incontrare sulla nostra strada una persona che non ci lascerà mai andare del tutto. Che fortuna che qualcuno ci ha incontrato e ci ha amato e una sera a cena racconterà a qualcun altro di questo amore. Anche ad anni e chilometri. (Penso a noi come un piccolo - felice se siamo bravi a renderlo allegro - cimitero di tutte le nostre vite dentro questa che ci sembra una e che invece oggi è già la quarta o quinta o più). Ed è per tutto questo e per altro che la felicità passerà sempre da qui.
Al mare ci sono novità. Gli ambulanti vendono arco e frecce. Mi chiedo a che serviranno. Forse per attirare l'attenzione. Sì ma di chi e come? Tirando? C'entra Cupido? O c'entra la dimestichezza sempre più interiorizzata con la guerra. Altra novità: palloni enormi forse per colpire un intero gruppo invece che uno solo durante il gioco. Non so.
Reduce da matrimoni e funerale. In credito di funzioni. Vedo VINCERE di Bellocchio. Bello, ben girato, innovativo. Una bella scena d'amore (raro vederne con dietro all'obbiettivo un uomo), maschile, curata, intensa. I vagiti della dittatura, nei suoi aspetti privati, nelle sue malattie. Con che tempismo esce un film. A chi parla?
Di Carvelli (del 25/05/2009 @ 10:22:31, in diario, linkato 1122 volte)
Io e te. Niente intorno. Io e te. Qualcosa ce la saremo pure detta, nel sud più a sud dell'Argentina. Chissà.
Di Carvelli (del 26/05/2009 @ 16:26:14, in diario, linkato 1179 volte)
Non sono io. Non sono stato io. Non ero io, quello. Ho solo detto no. Sempre no. Anche quando era sì. No, dicevo. Ho imparato così. Ho imparato male - lo so - e dopo non sono stato più bravo a cambiare. Adesso che ci possiamo fare? Dico: con chi te la prenderesti? Parliamo poco. Se vai a vedere non parliamo quasi per niente. Non seriamente. Non ho talento per parlare da dentro. Il massimo che tu possa chiedermi è di parlare del dentro. Mica c'è da offendersi. Ti assicuro che alla lunga ci si abitua. A leggere fra le righe. A sapere cosa dice lui. Parli in terza? hai chiesto una delle prime volte. Dopo hai capito che è che siamo sempre in tre. Che poi non è male. E' un po' come avere ospiti ma senza l'imbarazzo di una persona nuova. Delle volte poi fa pure comodo uno in più, dico per dire. Ho frainteso? chiedi. Ho frainteso? chiedo. E' lunedì. Manca ancora troppo a un po' di pace, a un po' di silenzio. Ma anche questo riguarda il tempo e il tempo non ci riguarda. Mi sbaglio?
Di Carvelli (del 27/05/2009 @ 08:39:07, in diario, linkato 1158 volte)
Mentre noi si presentava a Roma - e dove se no - (Amarsi a Roma e altre cose romane con Peppe Fiore il suo nuovo libro, e Mario De Quarto e il suo GRA) ieri si faceva festa a Palermo - e dove se no? - a ZoeMagazine rivista panormitana con cui collaboro da un po'. Contestualmente si presentava il nuovo numero. E la brava direttrice mi ha invitato a scrivere un saluto sul perché della nostra (di me con Zoe) amicizia, che poi era una mail. Questa:
Cosa mi piace di Zoe? Intanto mi piace quando arriva nella sua busta bianca. Dovete sapere che vivo in un piccolo villino - detta così suona pure un po' troppo bene - beh, in ogni caso, vivendo con un giardino davanti, la posta la ricevo aprendo uno sportellino a fianco al cancello senza uscire su strada. E così il rito del ricevimento delle lettere è una consuetudine decisamente privata. A cui magari posso arrivare in pigiama (da quando non ne ho uno?) o comunque in vesti da camera. Ecco, la busta tanto attesa e subito ad aprirla. Non per leggere le cose scritte da me ma per l'inevitabile curiosità che suscita una rivista che si fa nel sud più sud e non per questo non respira un'aria internazionale, inventiva, curiosa. Come deve essere Zoe è una rivista piena di ossigeno di cui, dunque, possono avvantaggiarsi i tanti depressurizzati moderni. E' lenta (nel senso di slow che di questi tempi suona meglio) e avanti. Le due cose - il non escludersi delle due cose - mi dà un piacere molto "al presente". Mi piace la sua artigianalità, la scelta di lasciare spesso i titoli pensati da chi ha scritto, l'idea che una redazione non deve per forza masticare e digerire il pensiero altrui. Mi piace anche perché mi fa tornare bambino e a 41 anni (anche se splendidi) può rappresentare un vantaggio. Ecco, è arrivato/a Zoe (anque questa bisessualità del giornale mi sembra un bel segno) e io la/lo sfoglio per bel po' così, solo per guardare le figure. Un toccasana, meglio del gerovital, di un lifting. E di 'sti tempi è anche un bel risparmio. Dunque lungavita alla/o Zoe (mi sembra il minimo per contraccambiare). roberto carvelli
www.zoemagazine.net
In questo numero a pag 81 un articolo su carlo Coccioli e la sua riscoperta www.myvirtualpaper.com/doc/Zoe-Magazine/zoe24-106/2009052201/
Di Carvelli (del 27/05/2009 @ 12:38:47, in diario, linkato 4607 volte)
Dalla preziosa rete di suggeritrici/ori lettrici/ori...un bel racconto della Ginzburg. Grazie ancora a chi mi scrive e manda cose.
Le scarpe rotte
Io ho le scarpe rotte e l'amica con la quale vivo in questo momento ha le scarpe rotte anche lei. Stando insieme parliamo spesso di scarpe. Se le parlo del tempo in cui sarò una vecchia scrittrice famosa, lei subito mi chiede: «Che scarpe avrai?» Allora le dico che avrò delle scarpe di camoscio verde, con una gran fibbia d'oro da un lato. Io appartengo ad una famiglia dove tutti hanno scarpe solide e sane. Mia madre anzi ha dovuto far fare un armadietto apposta per tenerci le scarpe, tante paia ne aveva. Quando torno fra loro, levano alte grida di sdegno e di dolore alla vista delle mie scarpe. Ma io so che anche con le scarpe rotte si può vivere. Nel periodo tedesco ero sola qui a Roma, e non avevo che un solo paio di scarpe. Se le avessi date al calzolaio avrei dovuto stare due o tre giorni a letto, e questo non mi era possibile. Così continuai a portarle, e per giunta pioveva, le sentivo sfasciarsi lentamente, farsi molli ed informi, e sentivo il freddo del selciato sotto le piante dei piedi. È per questo che anche ora ho sempre le scarpe rotte, perché mi ricordo di quello e non mi sembrano poi tanto rotte al confronto, e se ho del denaro preferisco spenderlo altrimenti, perché le scarpe non mi appaiono più come qualcosa di molto essenziale. Ero stata viziata dalla vita prima, sempre circondata da un affetto tenero e vigile, ma quell’anno qui a Roma fui sola per la prima volta, e per questo Roma mi è cara, sebbene carica di storia per me, carica di ricordi angosciosi, poche ore dolci. Anche la mia amica ha le scarpe rotte, e per questo stiamo bene insieme. La mia amica non ha nessuno che la rimproveri per le scarpe che porta, ha soltanto un fratello che vive in campagna e gira con degli stivali da cacciatore. Lei e io sappiamo quello che succede quando piove, e le gambe sono nude e bagnate e nelle scarpe entra l’acqua, e allora c’è quel piccolo rumore a ogni passo, quella specie di sciacquettio. La mia amica ha un viso pallido e maschio, e fuma in un bocchino nero. Quando la vidi per la prima volta, seduta a un tavolo, con gli occhiali cerchiati di tartaruga e il viso misterioso e sdegnoso, col bocchino nero fra i denti, pensai che pareva un generale cinese. Allora non lo sapevo che aveva le scarpe rotte. Lo seppi più tardi. Noi ci conosciamo soltanto da pochi mesi, ma è come se fossero tanti anni. La mia amica non ha figli, io invece ho dei figli e per lei questo è strano. Non li ha mai veduti se non in fotografia, perché stanno in provincia con mia madre, e anche questo fra noi è stranissimo, che lei non abbia mai veduto i miei figli. In un certo senso lei non ha problemi, può cedere alla tentazione di buttar la vita ai cani, io invece non posso. I miei figli dunque vivono con mia madre, e non hanno le scarpe rotte finora. Ma come saranno da uomini? Voglio dire: che scarpe avranno da uomini? Quale via sceglieranno per i loro passi? Decideranno di escludere dai loro desideri tutto ciò che è piacevole ma non è necessario, o affermeranno che ogni cosa è necessaria e che l’uomo ha il diritto di avere ai piedi delle scarpe solide e sane? Con la mia amica discorriamo a lungo di questo, e di come sarà il mondo allora, quando io sarò una vecchia scrittrice famosa, e lei girerà per il mondo con uno zaino in spalla, come un vecchio generale cinese, e i miei figli andranno per la loro strada, con le scarpe sane e solide ai piedi e il passo fermo, di chi non rinunzia, o con le scarpe rotte e il passo largo e indolente di chi sa quello che non è necessario. Qualche volta noi combiniamo dei matrimoni tra i miei figli e i figli di suo fratello, quello che gira per la campagna con gli stivali da cacciatore. Discorriamo così fino a notte alta, e beviamo del tè nero e amaro. Abbiamo un materasso e un letto, e ogni sera facciamo a pari e dispari chi di noi due deve dormire nel letto. Al mattino quando ci alziamo, le nostre scarpe rotte ci aspettano sul tappeto. La mia amica qualche volta dice che è stufa di lavorare, e vorrebbe buttar la vita ai cani. Vorrebbe chiudersi in una bettola e a bere tutti i suoi risparmi, oppure mettersi a letto e non pensare più a niente, e lasciare che vengano a levarle il gas e la luce, lasciare che tutto vada alla deriva pian piano. Dice che lo farà quando io sarò partita. Perché la nostra vita comune durerà poco, presto io partirò e tornerò da mia madre e i miei figli, vincendo la tentazione di buttar la vita ai cani. Tornerò ad essere grave e materna, come sempre mi avviene quando sono con loro, una persona diversa da ora, una persona che la mia amica non conosce affatto. Guarderò l’orologio e terrò conto del tempo, vigile ed attenta ad ogni cosa, e baderò che i miei figli abbiano i piedi sempre asciutti e caldi, perché so che così dev’essere se appena è possibile, almeno nell’infanzia. Forse anzi per imparare poi a camminare con le scarpe rotte, è bene avere i piedi asciutti e caldi quando si è bambini.
1945 Natalia Ginzburg, da Le piccole virtù
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