Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Non mi piacciono gli oleandri e forse è perché qualcuno a un certo punto mi deve aver detto che le foglie sono velenose. Non mi piacciono le pubblicità con i doppi sensi sessuali, quelle con la complicità femminile, quelle con i disturbi intestinali (anche quelle radiofoniche). Non mi piacciono le donne che si spazzolano a lungo i capelli: mi vengono in mente le bambole o i film dell'orrore. Non mi piace quando sotto la tazzina del caffè, nel piattino, rimane quel po' di acqua marrone. E non è bello scoprire una macchia, dopo, sulla camicia. Non ho nulla in contrario alle donne che si coprono i seni nudi, entrambi con un solo avambraccio, ma mi fanno pensare a mia madre e questo mi mette un po' di tristezza. Mi irritano le troppe cure per gli animali domestici. Mi mancano le uscite da scuola con quella febbrile ansia di viaggio e di fuga. Mi manca il peso del vocabolario tra le braccia a cose fatte: versione di latino o greco, compito d'italiano. Mi piace la domenica sera ma non è per merito del lunedì. E il lunedì sera ma non è merito della giornata. Mi piace addormentarmi sul divano, mettermi a letto con le lenzuola pulite, alzarmi per andare a bere (ma non per forza in questa successione). Mi piace che oggi sia oggi e non domani e neppure ieri. Ma mi piace ricordare e anche immaginare e in tutto questo sento una forma di equilibrio ma magari mi sbaglio.
Sistemo i miei quattro oggetti e faccio casa intorno a me. Metto punti cardinali in un luogo non mio. E diventa mio. E diventa per sempre. O dovrei dire "diventa da ora in poi". Così ho fatto. Così farò sempre. Arredare un'anima passa per questo poco. Nessun luogo è prigione. Nessuno è prigioniero.
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I muri erano puliti. Bianchi come si compete ai luoghi di mare. Bianchi ripuliti di frequente come ci si aspetta da un posto sempre pronto a finire nelle guide dei tour operator. Eppure su un muro bianco. Forse il solo che abbia visto strisciato, l'attestazione di una fede incrollabile. Convinta ma forse non convincente. Disperata, in ogni caso.
ODIO AMAR
Una palla lanciata troppo forte. Finisce fuori dal tappeto verde. Quella che doveva andare in buca non ci va. Ci va quella che non doveva andarci. Una rimbalza incessantemente tra le sponde mulinando senza sosta e senza buche. Traiettorie inutili. Come giocare non sapendo giocare. Con la presunzione che in fondo sia necessario solo provare. Magari un po' di fortuna da avere oppure no. E poi si perde. Ed è come perdere senza saper perdere. Senza essere preparati alla sconfitta. Oggi penso alla vita come a un biliardo a cui uno non sa giocare pur provando l'illusione che in fondo non ci sia nulla di difficile. Le palle che rotolano naturalmente: sembra già un piccolo vantaggio. Faremo tanti tentativi e alla fine qualcosa andrà dove deve andare. Forse. Ognuno è l'equivoco di qualcuno. Ma prima: ognuno è l'equivoco di se stesso. Un modo in cui mi definisci in cui non mi riconosco. Un modo di definirti in cui non ti riconosci. Palline che facciamo viaggiare incessantemente sulle sponde nell'illusione che più rimbalzi significhi più vita. Dopo che l'ho tirata mi ritorna e non porta nulla di te. Un tuo pensiero. Un tuo sentimento. Solo un risentimento, in verità. L'aria ridicola che abbiamo quando siamo in attesa di qualcosa. L'aria patetica di chi ha pensato di noi qualcosa di brutto. Un brutto che è in realtà solo un po' di polvere che hai lasciato posare sul pensiero di noi e che ora ce lo mostra come una minaccia che non ci scuote. Dovremmo solo pensare a ora, a questo nostro ultimo istante e a cosa lascia. Io metto sul tappeto i miei tanti errori. Cose che ho dato per scontate. Quella solita aria permalosa che ormai conosci. Un broncio che dura poco. L'aria spaurita che hanno i cani quando sono vecchi ed è arrivato l'estenuante tempo della passeggiata. La mia doppia velocità. PianissimoFortissimo c'è scritto sul mio spartito una riga dopo l'altra per l'odio degli strumentisti che mi dovessero suonare. SilenzioFracasso. Mi piacerebbe che fosse diverso che fosse tutto più semplice ma è andata così. Questi siamo e iniziamo a raccontarcelo come se avessimo anni e anni alle spalle ma anche un po' di futuro. Io o te da qualche parte su un treno. Io o te che aspettiamo un ritorno. Messaggi o telefonate sincopate tra le gallerie per dirci cose semplici. Che hai fatto per cena? A che ora arrivi? Hai ritirato il bucato?
Gli anni platonici
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Di Carvelli (del 21/04/2010 @ 15:40:26, in diario, linkato 1234 volte)
Sto da paura. Sì da paura, dice. Alla fine sì. E che sono una roccia. Che ho spalle larghe per tenere qualsiasi peso, braccia forti per sollevare qualsiasi peso. Che questo è quello che ci si aspetta da me. Di dove sono ora. Di dove vado (o dove andrò) non faccio fiato. Cose di cui nessuno sa. Che non dico. O che direi solo in un secondo tempo. Di queste numerose anche se piccole fughe. Delle attese che ho deluso. Senza avere, in definitiva, voce in capitolo. Senza la possibilità di dire che era solo un piccolo diversivo, che mai è stato un abbandono e che mai lo sarà. Un modo per esprire un convincimento, quello che la morte deve esserci compagna sempre. Un'amicizia che altri criticano. Ma alla fine sto bene, sì. Bene davvero.
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