Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Prima di una suggestiva, indimenticabile notte di Caravaggio e magica narcolessia, questo concerto che mi è (abbastanza*) piaciuto. C'erano dei solisti interessanti come il batterista Mark Mondesir e, ovvio, la Marcotulli. E' un periodo che si parla molto dei Pink Floyd persino per uno come me che di musica sa poco riesce difficile dire o pensare a che cosa sarebbe o sarebbe stata la musica senza di loro. Deve essere qualcosa tipo la classica senza Bach ma è detto da uno che ne sa poco, appunto. Del tanto che ci sarebbe da dire per fortuna rimane il tanto che c'è da sentire. Cose vecchie che risenti come se fosse la prima volta tanto sono state innovative e concluse e credo che in questo si annidi il genio, nella capacità appunto di innovare tracciando un percorso completo, esaustivo. E insieme forse di segnare vie che altri seguiranno. In testa batte la parola compiacenza** che poi ritrovo nella pagina di Inoue Yasushi che oggi linkavo.
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* abbastanza abbastanza (ant. a bastanza) avv. – A sufficienza, quanto basta: ho mangiato a.; sono a. bene informato; è un golosone che non ne ha mai a.; averne a., di una persona o di una cosa, esserne stufo: ne ho a. di lui e dei suoi capricci; cominciavo ad averne a. di quella vita. In correlazione con una prop. consecutiva introdotta da per o da: ho lavorato a. per meritarmi un po’ di riposo; sei a. grande per capire certe cose; non sono a. preparato da presentarmi all’esame. Meno proprio, davanti a un agg., col sign. di alquanto, piuttosto: sei stato a. sciocco a credergli; il prezzo mi pare a. elevato.
** compiacenza compiacènza s. f. [der. di compiacere, compiacente]. – 1. Il compiacersi, piacere intimo, soddisfazione: provare c. nel fare il bene; c. di sé stesso, dei risultati raggiunti; a proposta così inaspettata, colui sentì, insieme con la maraviglia, un ribollimento di sdegno, non però senza qualche c. (Manzoni). 2. L’essere o mostrarsi compiacente, desiderio di far cosa gradita a qualcuno: esser pieno di c.; lo ricevette per pura c.; fare un sorriso di c.; spesso sinon. di cortesia: avere la c. di dire, di fare; abbiate la c. di ritornare più tardi.
Proseguo il mio diario di lettura di Inoue Yasushi (Ricordi di mia madre). http://it.wikipedia.org/wiki/Inoue_Yasushi Stiamo parlando sempre della mamma del titolo. Alla donna in questione. ottuagenaria, si è rotto il meccanismo del ricordo e inizia a nominare sempre la stessa persona e solo lui, Shunma. Ecco perché.
Quella che mia madre raccontava di Shunma era una storia molto semplice. Diceva che era gentile, intelligente, e che un giorno, mentre studiava e lei dal giardino si era avvicinata alla veranda, le aveva detto: “Puoi salire”. Tutto qui. All’epoca mia madre doveva avere sette o otto anni. Forse per una bambina come lei l’invito a salire era stato un avvenimento tanto importante da rimanerle in mente per l’intera vita. (…)
Non ricorda il marito. No, mai. I figli ne soffrono ma c'è qualcosa di profondo considerando che la persona che lei ricorda, di quasi dieci anni più grande, è morto giovane tra l'altro. E d'accordo che c'è qualcosa che si è rotto nel meccanismo del ricordo ma perché nel nulla galleggia questo episodio piccolo e isolato?
Che abbia un significato la vita o sia insulsa, dipende dal punto di vista; si può anche presumere che l’unione carnale di marito e moglie per l’intera vita non abbia molto significato, mentre ne avrebbe un piccolo frammento d’amore spirituale, capace di durare senza dissolversi fino al termine di una lunga vita. Da questo punto di vista l’esistenza umana non è certo un episodio trascurabile.
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In Parla con lei di Almodovar ci sono due battute tra il divertente e il filosofico. La portiera chiede di Benigno in carcere a Marco e Marco dice che Benigno è innocente e la portiera "sì ma innocente di cosa?". Già, si può essere innocenti rispetto a e forse non lo si può essere in assoluto. Insomma si può essere innocenti solo di una cosa. Chissà. Verso la fine del film Marco parla con la maestra di danza interpretata da Gerladine Chaplin. Un giorno dovremo parlare io e lei e sarà più semplice di quel che crede. E la maestra: "Sono insegnante di ballett(o) e so che non esistono cose semplici". Questa battuta mi piace perché mi fa pensare al fatto che anche un'arte di apparente fluidità ha origine in un grande sforzo. Ma un po' mi fa anche ridere. E non so perché.
Ho mancato di dirvi alcune cose. 1 Vidi tempo fa e - contrariamente a quanto mi fu detto ("vedilo poi ne parliamo") dico la verità di cui mi prendo responsabilità NON ANDATE A VEDERE COPIA CONFORME. Pur apprezzando Kiarostami da tempi non sospetti e pur avendo una grande ammirazione per la Binoche ho vergogna a pensare di aver convinto una persona a venire con me (mal me ne incolse), a pagare il biglietto e ad attendere nervosamente la parola FINE che poi nessuno mette più nell'ansia della morte. Sospiri finali dunque ma prima un'involontaria comicità e clima da avanspettacolo a dispetto di tanta inutile e vacua intellettualità profusa in modi incontinenti. Un clamoroso autogol per cui tento una riflessione: non sarà che Kiarostami, quello dei grandi film iraniani ci piaceva perché ci raccontava un mondo che non conoscevamo e ora che ci racconta un mondo che ben sappiamo ci viene pesante? 2 Vi consiglio di vedere il film (cercate qua dentro il mio passato giudizio) Il padre dei miei figli che ora esce in italiano. Può essere che riandrò a vederlo anch'io. 3 lascio uno spazio.
Mi è stato regalato questo libro di Herta Muller. Il titolo è Lo sguardo estraneo ma è il sottotitolo che lascia un brivido. La vita è una scoreggia in un lampione. Della Muller Nobel so poco. Lessi venti o più anni fa Bassure che credo fosse in omaggio con l'Unità. Non ricordo nulla di quello. Poi questo piccolo libro in regalo dal mio amico Ale. Lo prendo sotto gamba come tanti libri che mi sembrano distanti da me. Cosa mi sembra distante da me? La letteratura contemporanea tedesca (e non si sa il perché, e non si sa il perché). I libri con le copertine fatte da un'unica immagine, un particolare sgranato e molto colorato. Altre cose che non so dire o che dirò circostanziandole.
Il persecutore non ha bisogno di essere fisicamente presente per esercitare la sua minaccia. Sotto forma di ombra si annida comunque nelle cose, la facoltà di incutere paura l'ha trasmessa alla bicicletta, alla tintura dei capelli, al profumo, al frigorifero, rendendo minacciosi quegli oggetti usuali e inanimati. Gli oggetti privati di chi si sente minacciato diventano la personificazione del persecutore.
Così scrive la Muller facendo seguito a e commentando gli episodi di controllo patiti durante gli anni di regime in Romania. E' terribile scoprire quello strano nesso che lega episodi distaccati. Tornare a casa e scoprire che qualcosa è stato spostato da qualcuno ma senza vedere o scoprire altri segni del passaggio di questo qualcuno. Sentirsi ripetere da uno frasi dette a terzi senza che ci sia legame tra le due persone e le due situazioni. Quello che mi stupisce in questo racconto di persecuzione è la violenza perpetrata in nome di quel miracolo della vita che è la coincidenza. La naturale coincidenza che hanno le cose. Dire una cosa che un altro dirà appena dopo senza sapere di noi. Incontrare due volte uan persona in una stessa città, momenti e orari diversi. Ecco - so che è poco e che non può non essere notato altro in questa terribile pianificazione del Male - ma quello che trovo intollerabile nella persecuzione è questo essere entrati in questo matrix corrompendone le leggi consuete. Per deformazione provo a pensare a cosa ha da insegnarmi questo libro, questa storia. Mi domando se questa meccanica del terrore e del controllo può essere portata altrove. Può.
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